Violent Red Forum

Capitolo 12

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view post Posted on 17/12/2011, 11:24
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Violent red

- Capitolo 12 -



Mani di pietra gli calpestano lo stomaco senza gentilezza, scavano solchi sulla carne vergine delle sue cosce e frugano, e rimestano, e frugano, e affondano, e rimestano, e affondano ancora nella sua pelle tenera con dita arpionanti come ruspe.
« Lo sai, tutto questo è una tua responsabilità. » Parole unte di biasimo alitano il loro disprezzo nelle sue orecchie. « Lo sai, non è vero che lo sai, Iza? »
La morsa di due polpastrelli gli cattura il mento. Deve guardarlo. Ora. Sente l'ordine bruciare perentorio sui dorsi delle mani dietro cui ha nascosto il viso, per non farsi vedere mentre piangeva.
Uno scrollone e le sue guance sono di nuovo esposte, le difese strappate, l'orgoglio a pezzi, e nuda è una parte persino più intima di quella già depredata dai suoi tocchi scortesi.
« Sta succedendo solo perché tu lo hai provocato. Tu, soltanto tu. Tienilo bene in mente. »
Le dita dell'uomo zampettano come insetti sul suo petto scosso dai singulti. Il suo respiro vacilla e si sfalda. Fa freddo. Non c'è calore nelle braccia che lo tengono prigioniero. Le sue lacrime invece sono incadescenti, ma scottano non meno del gelo che lo attanaglia.
« Io sto solo assecondando una tua richiesta, ricordalo. È quello di cui hai bisogno. Voglio che tu lo ammetta. »
Il fiato dell'uomo gli sferza cattivo una guancia. I suoi occhi lo trafiggono con un rimprovero che non riesce a spiegarsi ed è questo il motivo per cui sta piangendo. Aveva detto “andrà tutto bene”.
Ora invece dice: « Stai cercando di farmi arrabbiare? »
Scuote il capo. Trema. « No. » La sua voce è spezzata dal pianto.
« E allora non farmi arrabbiare. Dì che lo vuoi. »
Dì che lo vuoi.
Dì che lo vuoi.
Dì che lo vuoi.

Izaya soffocò a stento un ringhio nel cuscino, mentre la mano fantasma dell'uomo gli scivolava rudemente tra le cosce. Il suo cuore pulsava affannato, al ritmo dei respiri corti che si sgretolavano contro il tessuto umido della federa.
Strinse gli occhi. Gemette. Ricordi su ricordi affioravano in superficie come falangi scarnificate. Salme riemerse dal cimitero della sua memoria. Non morti, eppure non più vivi.
« Apri queste cazzo di gambe! » tuona la voce sopra di lui.
Uno strattone, due, un altro. La presa forte ed irruente di due mani abbatte le sue resistenze e gli separa le ginocchia, fino ad allora saldamente attaccate nello strenuo tentativo di proteggersi.
« Aspetta. » Guaisce. « Non ora. » I singhiozzi scrocchiano come ossa rotte. « Domani... »

La risata pungente dell'uomo giunse fino a lui, aprendosi una breccia tra le macerie franate che colmavano il baratro di quei quattro anni. Stridette nella sua mente, non meno aspra di allora, e scavò cunicoli dentro di lui come un verme nella polpa di una mela marcita. Sembrava alimentarsi di un'eco senza fine.
I suoi piedi scalciarono le lenzuola aggrovigliate, le mani strinsero a pugno due lembi del cuscino e la fronte sfregò contro il tessuto ruvido del cotone, come per grattare via i pensieri, i ricordi, le immagini. Un magone fatto di urla trattenute in gola gli strozzava quasi il respiro. Ansimava.
« Non ti è bastato? Lo vuoi di nuovo? »
Parole sottoforma di sibili sgusciano dalla bocca dell'uomo, come serpi di solo fiato. Izaya le sente strisciare fin sotto la pelle, nello stomaco, dentro le orbite, attorno al cuore. Hanno spire fredde e taglienti. Lo stanno sminuzzando dall'interno.
Quelle dita rovistano ancora tra le sue gambe e nei suoi internocoscia; toccano, prendono, stringono, marchiano, sebbene non vi sia più nulla da toccare, prendere, stringere e marchiare. È già tutto loro. Il suo corpo, la sua carne, le sue ossa. La sua anima, anche, è loro. Completamente.
L'uomo sussurra un'altra risata di scherno. Gli scompiglia i capelli, mentre il palmo strofina scabre carezze molto più in basso. « Ti vizio troppo. Ti do sempre quello che vuoi. »

Un singulto. Unghie artigliate sulle lenzuola. Brividi come stilettate. Faceva male. Ne aveva bisogno.
Infilò con urgenza una mano sotto di sé, tra il proprio addome e il materasso. I polpastrelli corsero veloci verso l'inguine e si tuffarono sotto il bordo dell'intimo, riesumando sulla carne nuda la sensazione nauseante di mani non proprie, frettolose, sgarbate, brutali.
Disgusto. Poteva sentire l'onta di umido che gli impregnava la pelle, benché sapesse che lo sporco non era più lì, ma annidato nel profondo: in una nicchia scavata tra le frattaglie dei suoi ricordi.
Ritrasse la mano rapidamente e l'accartocciò sotto il mento.
Un ronzio assordante si accalcava sulla soglia delle sue orecchie, formava sciami di nebbia tra i suoi pensieri e pulsava ritmico sulle tempie sudate, mentre nel retro delle sue palpebre continuava a sfilare nevroticamente quel passato che credeva sepolto.
Il suono di una zip scalfisce l'aria come un graffio. Attraverso il denso schermo di lacrime, Izaya vede le gambe dell'uomo fasciate dal tessuto liscio dei pantaloni e le sue mani che armeggiano serene e composte con la cinghia della cintura. La riallaccia. Si rassetta gli abiti. Scrolla dalle ginocchia la polvere invisibile lasciata dal corpo che giace ora abbandonato sul divano. Il suo. Forse. Non è sicuro che gli appartenga ancora.
Ha le gambe appiccicose. Farebbero un rumore vischioso e molliccio, come di gelatina, se provasse ad aprirle... ma non proverà ad aprirle. Le terrà chiuse, e ferme, e immobili, sperando di dimenticare anche che ci siano, per non sentire più quella cosa viscida tra le cosce.
L'uomo muove un passo. Un secondo. Un terzo.
Se ne sta andando.
Lo fa quasi senza rendersene conto: allunga una mano verso le sue gambe, afferra un lembo dei pantaloni, lo trattiene.
Un gesto che ha già compiuto mille altre volte, tanto da non sapere, adesso, a chi sta chiedendo di restare.
Se alla persona che ha di fronte, che gli ha appena detto: « Cos'altro vuoi? »
Se a sua madre, girata di spalle oltre l'inferriata del cancello imponente del collegio, mentre lui cercava invano il suo sguardo un'ultima volta.
Se a Shirou, che non indugiava mai davanti alla porta della sua stanza dopo aver dato la buonanotte alle gemelle.

Le sue dita si protesero in avanti, come per riflesso incondizionato. Il pugno, però, si chiuse intorno al nulla. Lo sferzò sul materasso, reprimendo un urlo con la bocca premuta sul cuscino.
La sua mente era avviluppata da una spessa coltre di confusione, tanto che poteva quasi vederla ripiegarsi su se stessa e attorcigliarsi in un ingarbugliato labirinto di pensieri senza sbocco. Tutte le volte che apriva e chiudeva le palpebre si sentiva abbacinato dalla luce di un obiettivo che sembrava puntarlo dal centro stesso della sua testa, come la bocca fumante di una pistola. Ogni flash, uno sparo.
« Iza, guarda verso di me. »
Una macchina fotografica tra le mani dell'uomo. Lui, raggomitolato in posizione fetale con le lenzuola schiacciate davanti al viso. Erano bagnate quanto le dita che le stringevano.

Ringhiò. Il suo corpo fremette. Si capovolse sul materasso, in preda a un panico che lo stava risucchiando nella sua voragine. Si contorse come un animale agonizzante.
Bang!
« Fatti scattare una foto. »
Dita attorno ai suoi polsi. Cercano di scoprirlo. Ci riescono. Le lenzuola vengono buttate di lato, strappate con veemenza come poco prima i vestiti.

Schizzò a sedere sul materasso. Aveva mal di testa. E l'affanno. Non capiva più niente.
Immerse le mani nei capelli madidi, li tirò indietro, chiuse le dita attorno alle ciocche intrise di sudore, e respirò.
Inspira, espira, inspira, espira, inspira, espira, comandava al cervello. Inspira, espira.
Bang!
Scosse il capo istericamente. Poggiò i piedi sul pavimento – freddo –, si chinò in avanti e puntellò i gomiti sulle ginocchia.
« Sei tu che me l'hai chiesto, Iza, te lo ricordi? »
Te lo ricordi?
Avanti, te lo ricordi?

Saltò in piedi di scatto. Paura e vergogna e raccapriccio dilagavano dentro di lui come il corso di un fiume da una diga spaccata. Stava annegando nella sua testa, non c'era più aria, soltanto un abisso senza superficie né fondo.
E i suoi pensieri tracimavano fuori, colavano dai suoi occhi e sulle sue guance. Bagnati.
« Bisogna stare attenti a ciò che si desidera troppo. Dì che lo vuoi. »
Non voglio.
Dì che lo vuoi.
Non voglio.
Dillo!
Schiacciò le mani sulle tempie. Girò su se stesso. Mosse dei passi alla cieca, misurando spasmodicamente il perimetro della sua gabbia invisibile. La penombra claustrofobica della stanza sembrava richiudersi attorno a lui.
« So che lo vuoi. »
Avanti.
« Io voglio le cose che vuoi tu. »
Indietro.
« E cosa credi che voglia io? »
Urtò una sedia. I piedi di legno stridettero sul pavimento. Nella sua testa, l'eco fu lancinante.
« Devi fare il bravo. »
Si aggrappò al tavolo della scrivania. Una pila di libri piovve sul pavimento, bombardandolo con una scarica di “tum” in rapida successione. Cercò di proteggersi dal frastuono schiacciando forte i palmi sulle orecchie.
« Dì che lo vuoi. »
Serrò convulsamente le palpebre, mentre girava a vuoto attorno a se stesso. Confuso, stordito, senza meta.
L'uomo incombe sopra di lui come un cielo di pietra. Si sente infinitesimalmente piccolo e insulso. Trema.
« Dì che lo vuoi » ripete. Dì. Che. Lo. Vuoi. Proiettili che lo bersagliano impietosamente dall'alto.
« Io non... »
Uno schiaffo. La percossa brucia sulla guancia, nell'orgoglio e sulle macerie calpestate dei suoi sentimenti.

La collisione con l'armadio interruppe il suo roteare frenetico. Poggiò la schiena alle ante e si lasciò cadere lentamente, il corpo scosso dai singulti.
« Fidati di me. Ti fidi di me? »
« Mi fido di te. »
Mi fido di te.

Si rannicchiò per terra, con le gambe raccolte al petto e il viso affondato sulle ginocchia, cercando riparo nel rifugio del proprio corpo. Sentiva i pensieri ronzare ai lati delle orecchie come mosche impazzite. Nella sua testa mulinava un vortice che ora lo stava inghiottendo e trascinando in basso, sempre di più... sempre di più... sempre di più...
Un 'clic' e la lampada del soffitto si accese. La sua rapida discesa verso il fondo trovò fine nel gelido pavimento della stanza, dove gli parve di essere scaraventato all'improvviso.
Sussultò, voltandosi di scatto verso la porta. Mairu sostava sulla soglia, con le dita ancora posate sull'interruttore.
« I-Izaya…? »
La realtà cominciò a riemergere dal torpore. La sua stanza, lo strascico di lenzuolo ai piedi del letto sfatto, la finestra chiusa, le fenditure tra le tapparelle affilate come ghigni, i libri riversi per terra, alcuni aperti su pagine a caso, la sedia spostata di lato… e lui, in mezzo a quel casino. Si abbracciò ancora di più, tastando l'umidità dei vestiti spiegazzati coi quali aveva dormito. Non ricordava nemmeno di essere andato a coricarsi.
Fatto rapidamente il quadro della situazione, Mairu si precipitò verso di lui. « Stai bene? »
« Sto bene » replicò, passandosi i palmi sulla faccia. Vi nascose il viso un paio d'istanti, poi li infilò di nuovo nella piega dei gomiti.
Mairu, inginocchiata sul pavimento, il naso quasi a un pelo dal suo, lo fissava con una pressante nota di preoccupazione nello sguardo. « Sicuro di stare bene? Ero venuta a chiamarti per la cena, ma se vuoi dico che ti senti male. »
« Che ore sono? » biascicò, portandosi questa volta le dita alle tempie. Aveva le idee confuse. Ricordava appena che giorno fosse e non era nemmeno sicuro di questo.
« Sono le otto. »
Mairu posò delicatamente una mano sul suo braccio e azzardò una timida carezza. Lui la scansò subito con malagrazia.
« Da quattro giorni sembri uno zombie tipo Resident Evil » commentò lei, richiudendo la mano a riccio sul proprio grembo. « È successo qualcosa? »
Ripensò al nome stampato in capo al foglio dentro il plico di plastica. Ripensò all'effetto che gli aveva fatto leggerlo, a come avesse infierito ripetendoselo nella mente, scavando a fondo fino a quel punto remoto dentro sé in cui era scolpito. Ripensò alla sensazione che una crepa si fosse riaperta sotto i suoi piedi e che la terra avesse iniziato a franare, zolla dopo zolla, trascinando con sé ciò che aveva faticosamente costruito. « No » disse e si alzò in piedi, voltando le spalle alla sorella.
Non era successo niente, niente, niente, niente. Strinse la base del naso tra due dita, poggiando il gomito sul braccio col quale si avvolgeva il busto.
Eppure si sentiva uno schifo lo stesso.
Avvertì il calore emanato dal corpo di Mairu solleticargli la schiena, poi il tocco lieve della sua mano che di nuovo cercava di accarezzarlo. Provò fastidio. La strisciante sensazione di essere compatito.
« Sei sicuro che non… »
« Cazzo, Mairu, ho detto che sto bene! » sfiatò, girandosi di scatto per assestarle con forza uno spintone. Mairu cadde per terra, su un fianco. Attraverso l'invisibile schermo della propria rabbia infuriante, la vide puntellarsi sui gomiti e rivolgergli uno sguardo perplesso, non ferito. I suoi nervi traboccarono d'ira. « Mi spieghi che razza di problema hai? Sei assillante! Smettila di farti gli affari miei, non ti riguardano! » urlò, fuori controllo. « Io non ti riguardo. Torna a giocare con le bambole e non rompere, cazzo! »
Mairu si tirò di nuovo all'impiedi, fronteggiandolo ora con piglio incaparbito. « È inutile che fai lo stronzo. Con me non funziona, perciò smettila tu! Non mi hanno mai fatto paura le storie che inventavi e non mi fai paura neanche quando ti atteggi a Grande Signore del Male del cavolo e allontani le persone trattandole da schifo! » sciorinò, tutto d'un fiato, puntandogli l'indice contro il petto. Sopra le labbra arricciate in un broncio testardo e il nasino all'insù, il suo sguardo si ammorbidì un poco. « Gli altri se ne potranno anche andare, ma io resto. »
Izaya strinse e rilasciò i pugni un paio di volte. La rabbia si riassorbì come un'onda chiamata indietro dalla marea, ma lasciò il posto solo alla battigia del suo raziocinio freddo e incattivito. Indossò una maschera senza emozioni.
« E quando tutti se ne saranno andati, me compreso » sibilò, fissando la sorella negli occhi con distacco, « resterai sola. Il fatto che tu non voglia lasciarmi non significa che per me valga lo stesso… non significa che ho bisogno di te, non significa che ti vorrei al mio fianco. » Scandì piano tutte le parole con malevolenza, le pupille appuntite come spilli. Mairu vacillò e i suoi occhi si fecero lucidi, ma non una lacrima sfuggì alla rima delle sue palpebre. Era evidente che stesse cercando di trattenersi. Era solo una bambina. A Izaya però non importava, non in quel momento. Anche lui era stato un bambino. Adesso sentiva il potere, quello di farle male, inondargli la mente e stordirlo come una specie di vertigine. « Ti insegno una cosa, Mairu. Ascoltami bene. » Si chinò di una spanna verso il viso di lei, infilzando il suo sguardo con il proprio. Rivide se stesso, nella faccia spaurita della sorella; una somiglianza diluita però dalla luce che, dietro il velo di lacrime, continuava ad emanare il suo fioco bagliore negli occhi che adesso lo guardavano incerti. « Puoi essere vicina a qualcuno tanto da sentire che ti spacca in due... ma non lo sarai mai abbastanza da trattenerlo. »
Mairu abbassò lo sguardo sulla punta delle proprie ciabatte paffute con i coniglietti. Non sembrava sconfitta né delusa, solo costernata. « Perché odi anche chi ti vuole bene? » sussurrò, poco dopo.
Non rispose. Tacquero una manciata d'istanti, finché Mairu non si congedò dicendo che se preferiva cenare da solo gli avrebbe portato qualcosa in camera. Se ne andò chiudendo la porta e senza guardarlo di nuovo in faccia.
Izaya, rimasto solo, sferzò un calcio a un libro che giaceva riverso per terra – “Elementi di diritto. Nozioni di diritto del lavoro e legislazione sociale” recitava la costa di copertina.
Si passò le dita tra i capelli in disordine. Imprecò e posò la fronte sull'anta dell'armadio. Un brivido lo percorse a partire dalla pelle a contatto con il legno freddo.

« Perché non lo merito » rispose poi, nel segreto della propria stanza vuota. Perché non lo merito.

***



La pulce possedeva una dote a dir poco straordinaria, prodigiosa, fenomenale, quasi al limite delle arti oscure: quella di saperlo irritare non soltanto con la sua presenza, di per sé sufficiente a guastargli l'umore per un mese intero, ma anche e soprattutto – e qui stava il vero talento – quando non c'era.
Calpestò i piedi sui gradini, avendo cura che il rumore rimbombasse in maniera soddisfacente lungo la tromba delle scale. Tutti dovevano sapere che l'inquilino dell'ottavo piano, interno numero 62, era arrabbiato. E molto. Soprattutto coloro che abitavano in quello squallido palazzo non meno fatiscente della stamberga strillante che in quanto tale non poteva accogliere altro che un pugno di appestati dalla sfiga. Come lui.
Izaya non era venuto. Shizuo avrebbe preferito intendere l'espressione nel suo significato più malizioso, a costo di far incassare un duro colpo al fulcro pulsante del proprio ego virile… ma ripensandoci, un “duro colpo” era esattamente quello che gli sarebbe servito. Invece Izaya non era venuto, nel senso che non aveva portato il culo – e tutto il resto, ma soprattutto il culo – a casa sua, alle ore otto del mattino di quattro giorni prima, come da pattuito.
Giunse all'agognato ottavo piano – l'ultimo, naturalmente, perché non si dicesse che la sfortuna con lui non avesse intenzioni serie – e procedette verso la soglia del proprio appartamento calciando l'aria con stizza ad ogni passo. Si frugò nelle tasche in cerca del mazzo di chiavi, che ovviamente sferragliavano di gusto sul fondo senza però farsi rintracciare dalle sue dita. La luce a neon brulicava nell'aria vecchia e rarefatta del pianerottolo, sfumando come nebbia oltre il finestrone aperto per metà, nel buio fitto del cielo notturno.
Quando finalmente carpì il profilo metallico delle chiavi, le estrasse ed infilò quella giusta – non senza sbagliare di primo acchito – nella toppa della porta. Se la richiuse alle spalle sbattendola con intenzione. I suoi vestiti schizzarono sul pavimento della stanza, come fulmini scagliati dalla mano di Zeus dopo una giornata storta, almeno finché la vista degli indumenti sparpagliati per terra non mosse a pietà la sua coscienza e Shizuo, maledicendo il solito nome con ancora più verve, fu spinto a rimetterli a posto computamente.
“Izaya, sempre colpa di quello stramaledetto Izaya”, brontolò tra sé e sé. Anche il fatto che i suoi vestiti fossero adesso tutti spiegazzati e sgualciti era colpa di Izaya.
Dal pomeriggio che avevano trascorso al parco giochi, investendo di nuova luce l'accezione del fine ludico a cui era preposta tale struttura, erano trascorsi ben quattro giorni e Izaya non si era fatto vivo, né la mattina successiva né le seguenti.
Il giorno del loro appuntamento, che non era un appuntamento ma sfiorava solo tangenzialmente un significato approssimativo, si era svegliato alle cinque del mattino e aveva impiegato il tempo fino all'ora X mettendo ordine in casa. Per lui! Per qualcuno che poi gli aveva dato buca! A dire il vero si trattava di un'abitudine psicotico-compulsiva appresa per osmosi da sua madre, ma date le circostanze aveva deciso di accreditarla al conto di Izaya come aggravante.
Era oltremodo offeso. Va bene, quello non era un appuntamento, ma qualunque cosa fosse meritava almeno di essere disdetto con una telefonata – a prescindere che non meritasse affatto di essere disdetto. Era forse tra le proprietà di Izaya quella di farsi vedere solo quando non richiesto e di sparire se necessario? Specie se molto, molto necessario…
Aveva trascorso gli ultimi quattro giorni segregato in bagno in un eremitico ritiro di clausura modello asceta, sebbene fosse dedito a un'elevazione diversa da quella spirituale.
Ad un certo punto, giunto sulla soglia di un crollo nervoso, aveva valutato persino l'idea di un sequestro coatto, ma si era fermato prima di mettere piede fuori di casa. Per quanto disperato fosse, e lo era, non voleva trasformarsi nel cagnolino di Izaya né dargli l'impressione che avesse bisogno di lui, seppur solo in senso strettamente fisico e sessuale, s'intende.
La cosa che più lo feriva nell'orgoglio non era la buca – quella avrebbe anche potuto, o dovuto, aspettarsela, se solo gli ormoni non avessero preso sotto assedio la sua centrale di comando. A ferirlo era la consapevolezza che l'importanza attribuita da lui e Izaya proprio a quel 'lui e Izaya' fosse del tutto sbilanciata a suo svantaggio, impari come un incontro di boxe tra peso leggero e peso massimo dove la pulce fosse straordinariamente quello massimo.
Da un lato c'era lui, alla sua prima esperienza, e dall'altro c'era Izaya, con alle spalle anni di – la parola che gli venne da inserire a questo punto fu “troiaggine” - vita vissuta. Non era stato altro che uno del mucchio, dopo un qualunquissimo Hideki e prima di un qualunquissimo Kiyoshi. Immaginava il suo nome incastrato tra quei due – senza considerare il resto della lista che si estendeva nella sua mente in entrambe le direzioni come i tappeti infiniti di certi videogiochi – e la rabbia si abbatteva sul suo stomaco come un pugno.
Possibile che il fatto di essere lui, Shizuo, il suo arcinemico di sempre, non contasse proprio nulla? Ovviamente sì, era possibile se non addirittura inevitabile.
Pertanto era giunto alla conclusione di doversi trovare qualcun altro. L'idea che tale intuizione lo avesse colpito solo allora, dopo anni di sessioni in solitario con la testa affollata da centinaia di Izaya nudi e discinti, era profondamente disturbante. Ma infine era riuscito a farsene una ragione pensando a quella cosa con la pulce come a un passaggio obbligato ed imprescindibile verso l'età adulta, il momento culminante della sua maturazione fisica, l'ingresso nella dimensione sessuale dell'io e tutte quelle palle che si raccontano e che lui raccoglieva sotto la voce “finalmente l'ho fatto”. Ora doveva guardarsi avanti, o per la precisione 'attorno', voltare pagina, cambiare capitolo e soprattutto ragazzo.
Pensava che accettare lavoro come buttafuori presso una topaia di periferia che si fregiava del titolo di discoteca fosse, in tale ottica di intenzioni, una buona idea. Ma dopo tre sere di fiaschi aveva dovuto dedurre che la divisa scura come quella di un becchino e l'aria ugualmente allegra non giocassero esattamente a vantaggio del suo charme, dato che le persone scappavano non appena lui faceva per avvicinarsi a loro – e ad alcune, poi, bastava solo accorgersi che le stava guardando.
Naturalmente erano tutti ragazzi, quelli che cercava di puntare – vale a dire coloro verso i quali alzava a stento lo sguardo, dopo lunghissimi e strenuanti minuti di lotte interiori tra la propria timidezza e i valorosi propositi di conquista. E naturalmente la discoteca vantava una discreta fama gay friendly, per non dire che fosse frocia fino all'ultimo sgabello, divano o riflettore.
Gli erano sempre piaciuti quelli come lui, i maschi cioè. Non aveva mai desiderato di alzare lo sguardo sulla cosiddetta “altra metà del cielo”, per non considerare che la presenza di sua madre era già abbastanza ingombrante e apportava alla sua vita una tale dose di rosa – ovviamente shocking – da non necessitarne altra. Insomma, a lui le femmine non interessavano.
Lo aveva capito nell'estate della sua seconda elementare. Ogni anno, in quel periodo, il suo istituto organizzava un campo, spesso occasione di scambi culturali con scuole estere. Quella volta era toccato a un gruppo di bambini provenienti da una scuola dell'Ohio, che a quei tempi per Shizuo si trovava in India come l'India si trovava in America: gira e rigira, alla fine poteva dire che almeno sull'Ohio ci aveva visto giusto. L'Ohio, d'altra parte, gli era piaciuto subito, anche se i bambini che venivano da lì erano diversi da come se li sarebbe aspettati, perché non avevano né pelle rossa né corone di piume blu sulla testa. Uno di loro, però, era persino più carino di quelli illustrati nei suoi libri.
Anzitutto aveva i capelli rossi, e Shizuo pensava che tutti gli indiani dovessero avere qualcosa di rosso; se in più lo avevano sulla testa voleva dire che erano figli del capo della tribù più importante e destinati a diventare re, per forza. D'altra parte, anche il Re Leone aveva i capelli rossi e la savana confinava risaputamente con l'India. Il ragionamento non faceva una piega.
In più aveva gli occhiali, con una montatura centomila volte più bella di quella che i suoi genitori avevano comprato a Kasuka – a Kasuka e soltanto a Kasuka, perché dicevano che invece lui non ne aveva bisogno. C'era rimasto infinitamente malissimo.
Ma la cosa più importante era che il bambino dell'Ohio aveva il suo stesso album di figurine – incredibile che lo vendessero anche in India! – e che entrambi, meraviglia delle meraviglie, avevano i doppioni delle figurine che mancavano all'altro. I loro album si erano completati a vicenda. Non era un buon motivo per innamorarsi?
Per due settimane e tre giorni il bambino dell'Ohio era stato il suo migliore amico. Dal momento che non parlava giapponese e che viceversa in inglese lui sapeva dire solo “what's your name?”, la loro prima e unica conversazione era iniziata proprio con quella domanda. Il bambino dell'Ohio aveva risposto: “Ruben. And you?” ma dato che all'epoca non sapeva cosa volesse dire “and you?” Shizuo aveva pensato che fosse il cognome.
Ruben Andyou era quindi il nome della sua prima inconfessabile cotta, aprifila di una lista che ne annoverava solo altri tre: Mamoru Dobashi, capitano del club di football in quinta elementare, Yuichi Kurota, rappresentante della sua classe in seconda media, e l'unica femmina che gli fosse mai piaciuta, anche se in maniera più simile alla sua mamma, perché non aveva mai conosciuto qualcuno più gentile di lei. Era la proprietaria di un negozietto di dolci che ai tempi dei suoi dodici anni regalava a lui e Kasuka una bottiglia di latte ciascuno, ogni volta che li vedeva passare sulla strada per scuola. Ma Shizuo preferiva non pensare a lei.
E poi c'era Izaya. Ovviamente non nella lista delle cotte, ma in una a parte, tutta sua, completamente nera e scritta col sangue.
Certe volte si chiedeva se fosse un caso oppure un preciso disegno del destino il fatto che gli venissero sempre appioppate persone con qualcosa di rosso. Ruben aveva i capelli di tale colore e il suo nome derivava proprio dalla parola latina per “rosso”, o così almeno gli aveva detto sua madre, la squadra in cui giocava Mamoru aveva le maglie rosse e la scritta sull'insegna del negozio della donna del latte era naturalmente rossa. Quanto a Izaya, lui il rosso sembrava emanarlo come un'aura, diffonderlo nell'aria che respirava e spargerlo su chi gli stava intorno. Era il suo elemento. Shizuo non aveva dubbi su questo, e non per via dei pensieri che gli suscitava… dovevano essere, piuttosto, quei riflessi vermigli nelle sue iridi, simili a fiammelle sanguigne che danzavano audaci attorno alle sue pupille come sull'orlo di un buco nero. Oppure il suo modo di fare, così vistosamente arrogante che era come se graffiasse la vista di chi lo guardava. E ancora, perché il pericolo era un manto che lo avvolgeva sempre e si trascinava lunghissimi strascichi al suo passaggio. Perché tutto il suo essere lo faceva imbestialire più di ogni altra cosa esistente, era il drappo rosso per il toro. Perché il fuoco scotta se ti avvicini troppo e troppo a lungo, divora, ingurgita e consuma tutto ciò che lo circonda, eppure è tiepido come una puttana attorno alle carezze di chi lo tocca solo di sfuggita, e infine è bello da vedere mentre si contorce e, dimenandosi, maledettamente, arde. Perché pochi lo sanno, ma in fisica rosso è solo il tipo di calore più freddo. Perché Izaya era tutto quello e tanto altro.
E perché era anche incredibilmente erotico, ma questo lui non lo aveva pensato.
Si buttò sul letto, disfacendo le lenzuola per infilarsi dentro il loro cantuccio. Il display della sveglia elettronica segnava le 3:07. Rotolò su un fianco, poi fece cambio con l'altro. Sulla parete verso cui era rivolto si proiettavano le strisce di penombra più chiara filtrate attraverso le tapparelle della finestra. L'orologio a parete della cucina ticchettava nel silenzio, fragile come un crepitare ritmico e monotono di foglie secche. Il rumore di uno scarico gli rubò la scena solo per qualche istante, scrosciando lungo le tubature dell'acqua che serpeggiavano dentro lo scheletro di cemento dell'edificio. Poi fu di nuovo silenzio e tic, tac, tic, tac, tic, tac.
Si girò sulla schiena, ora guardando il soffitto colorato di ombre blu scuro. I numeretti sul display della solita sveglia emanavano un vibrante bagliore rosso.
Rosso. Gli venne ancora di pensare a Izaya. Chissà quando lo avrebbe rivisto. Fino a un anno prima sapeva che tanto si sarebbero incrociati a scuola, nei corridoi, e che se questo non fosse avvenuto uno dei due avrebbe fatto in modo di trovarsi per caso nei dintorni della classe dell'altro. Dopo il diploma si era chiesto la stessa cosa che si stava domandando anche adesso. Aveva pensato che da quel momento le occasioni di vederlo si sarebbero ridotte drasticamente, ma il sollievo generato da quella realizzazione non era stato all'altezza delle aspettative tanto a lungo nutrite e lo aveva lasciato invece con un opprimente senso di vuoto. Certo, almeno finché non era stato costretto a ricredersi, quando a causa di Izaya aveva perso il primo di una lunghissima serie di lavori.
Si avvoltolò nelle lenzuola, come un baco nel bozzolo. Con la guancia schiacciata sul cuscino, gettò di nuovo un'occhiata alla sveglia. Le 3:16. Brontolò tra sé e sé. Izaya continuava ad affollargli la mente.
Era il suo nemico giurato dal periodo delle superiori. Sebbene fosse fastidioso e irritante e gli avesse rovinato la vita da quando era entrato a farne parte, per lui, che aveva avuto pochissimi amici e forse non ne aveva mai avuto nessuno, la presenza costante di Izaya era diventata quasi una certezza. Non lo trovava simpatico e non gli voleva bene, per niente, ma il fatto che ci fosse significava che qualcuno, in fondo, di tutta la gente che se n'era andata, era rimasto. Ci si affeziona anche alle cose più strane, perché non ai nemici?
Gli mancava, essere solo quello. Un nemico. Scopare era stato fantastico e, dio, se gli sarebbe piaciuto ripetere l'esperienza ancora un migliaio di volte e qualcuna in più. Non aveva mai provato niente di paragonabile al sesso con Izaya, niente. Gli piaceva pensare che fosse tipo l'ecstasy. Anche se non aveva mai provato l'ecstasy e la cosa più simile che avesse mai ingerito erano le caramelle frizzanti, pensava che l'ectasy fosse proprio inebriante come lo era Izaya.
Eppure l'idea di essere diventato solo un altro nome nella sua lista di scopate lo disturbava al punto da desiderare che non lo avessero mai fatto. Izaya aveva mille amanti, forse, ma un solo rivale, e quel rivale era lui. Era lui il suo unico nemico storico. Quando la gente pensava ai partner di Izaya la loro mente si perdeva nell'infinito, ma quando qualcuno chiedeva chi fosse la sua nemesi, la risposta era una ed una soltanto: Shizuo. Se poteva essere l'acqua per il fuoco perché ridursi come un legnetto qualunque della sua brace?
Fece ancora un paio di avvitamenti nelle lenzuola, rimestandosi nervosamente.
La sensazione di aver rovinato tutto tornava a bussare alla sua coscienza ogni volta che la parte “di carne e di sangue” si assopiva un poco, cedendo il posto al lato più razionale. Cosa che, per fortuna o per sfortuna, non capitava spesso.
Ora che Izaya aveva mancato di presentarsi al loro non-appuntamento, ora che forse non avrebbero più scopato, ora che guardarlo negli occhi quando litigavano sarebbe stato un po' più difficile che in passato, ora che aveva trovato un modo di prenderlo senza che scappasse e ora che della sua voce conosceva anche sfumature che non gli davano fastidio… cos'erano ora? Non erano nemici, non erano amanti, né tantomeno amici o confidenti. Erano estranei. E avevano le stesse probabilità di incontrarsi per caso di due perfetti sconosciuti.
Se non lo avesse rivisto mai più? Quante persone abitano nella stessa città senza mai incrociarsi? Non avevano niente che li accumunasse, a parte Shinra, ma Shinra, da che lo conosceva, non aveva invitato Izaya neanche alle sue feste di compleanno. Abitavano in due punti agli antipodi, frequentavano posti diversi, venivano, anche, da ambienti diversi, conducevano vite diverse e avevano una stessa comitiva che però vedevano in occasioni diverse.
Lui e Izaya erano come due bolle d'aria nel mare: potevano perdersi da un momento all'altro, bastava solo che la corrente tirasse un po' più forte.
Scivolò lentamente nel sonno, immaginando proprio quella folata di acqua soffiare impetuosa come il vento tra lui e Izaya. L'abisso nero cominciò a roteare tutt'intorno, in una centrifuga di ombre e lampi abbaglianti che lo stordivano come le luci psichedeliche della discoteca in cui lavorava. Con mani e naso schiacciati sulle pareti di cellofan della sua bolla, vedeva Izaya allontanarsi, spazzato via dal flusso della corrente, e rimpicciolirsi via via fino a scomparire.
In breve tempo si addormentò. Tutto si fece buio e l'oblio lo avvolse come una coperta impalpabile, che delimitava il perimetro di un mondo senza né immagini né suoni.
Gli parve di avere appena chiuso gli occhi, quando lo squillo assordante del campanello penetrò in quella spessa cortina, picchiandolo forte sulla testa. Sussultò, spalancando le palpebre di scatto. Il cuore fece un paio di balzi nel suo petto, come un bungee jumper penzolante dopo un salto dalla corda elastica. Il soffitto era ancora blu scuro, dagli spiragli tra le tapparelle non trapelava alcun filo di luce, la stanza era sommersa dall'oscurità fitta della notte. Il campanello suonò di nuovo, questa volta in maniera persistente come se la persona dall'altro lato si fosse appoggiata sull'interruttore. Shizuo, ancora stordito dal sonno e in attesa di carburare, chiese soccorso al display della sveglia. Erano le 3:57.
Il “drrr” del campanello continuava a martoriarlo come uno spuntone conficcato nella calotta cranica. Fece una pausa e poi riprese.
« Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo! Ma che è successo? » urlò Shizuo, all'uscio di casa, con quel muscolo che pompava sangue ora ficcato dritto in gola. Si lanciò fuori dal letto gettando malamente le coperte di lato. In un lampo tolse il chiavistello, prese le chiavi, pugnalò brutalmente la serratura e così finalmente aprì la porta, il campanello che ancora strillava spietato.
Impietrì. Tutta la sua preoccupazione defluì in un sol colpo e la rabbia eruppe al suo posto come la violenta gittata di un geyser.
« Izaya. »
Izaya si staccò dal campanello, con buona pace dei suoi timpani affranti, ma prima che Shizuo potesse comandare al suo corpo di spezzargli le ossa una ad una, lui si mosse fulmineo e gli buttò le braccia al collo.
Sgranò gli occhi. Nel suo campo visivo ora non c'era altro che il viso di Izaya, le sue ciglia frementi, lunghe e scure, che contornavano la rima delle palpebre chiuse, le piegoline tra le sue sopracciglia increspate e la fronte aggrottata come se stesse pensando intensamente. La punta aguzza del suo naso gli stava perforando uno zigomo. E le loro labbra erano premute insieme, immobili ma sigillate.
Gli ci vollero un paio d'istanti per riconciliare i pezzi. Neanche un'ora prima aveva pensato che forse non lo avrebbe rivisto mai più e adesso lui lo stava baciando. Come se nulla fosse.
Posò le mani sulle sue spalle e lo spinse via. Izaya barcollò qualche passo indietro, ridacchiando così di gusto che sembrava contento. Questo gli fece venire i nervi ancora di più.
« Ma che accidenti ci fai a quest'ora della not... »
La sua bocca venne irriguardosamente tappata dalle labbra di Izaya, che senza preavviso gli aveva teso un altro assalto come il precedente. Lo scansò di nuovo in malo modo, questa volta afferrandolo per il collo della maglia. I suoi pugni rimasero stretti sul tessuto dell'indumento, bloccando saldamente colui che lo indossava.
Izaya continuò a ridere sottovoce, inclinando il capo di lato in maniera quasi provocante. Lo vide catturare tra i denti un lembo del labbro inferiore, succhiarlo piano e poi rivolgergli uno sguardo licenzioso da sotto le ciglia mentre lo rilasciava, rosso e inturgidito. Errata corrige: in maniera molto provocante, senza il quasi.
Deglutì. « Mi spieghi che cazzo sei venuto a fare qui? »
Ancora un'altra risatina civettuola. Izaya allungò le dita di una mano verso di lui, facendole scorrere sopra il suo petto e via via sempre più in basso. « Il tuo » bisbigliò, tendendosi in avanti per baciarlo di nuovo.
Shizuo lo bloccò a un soffio dalle proprie labbra. Irritazione e desiderio ribollivano nelle sue vene e pulsavano in due zone separate del suo corpo: l'una nella testa e l'altra in un punto a cui era meglio se non ci pensava adesso.
Lasciò la presa sulla maglia di Izaya e invece afferrò il polso della mano che stava ancora elargendo carezze al suo basso ventre. Lo strattonò bruscamente verso l'appartamento. « Entra dentro. »
Izaya non gli risparmiò l'ennesima risatina piena di malizia. « Pensavo di chiederti la stessa cosa » cinguettò, brancolandogli dietro.
Shizuo chiuse la porta con un colpo di tallone. Izaya non attese un solo secondo prima di tornare a gettarsi di slancio addosso a lui, facendo ora aderire il proprio corpo al suo come un adesivo. Sentì le mani impazienti dell'altro frugare alla rinfusa sotto la maglietta del suo pigiama – cazzo, perché stava dormendo col pigiama? Era da infanti, cazzo! –, toccare, premere e saggiare la pelle fino a infilarsi sotto il bordo del suo intimo.
« No » protestò, scacciando via le sue mani. Izaya si tese sulle punte per appoggiare ancora le labbra sulle sue. Shizuo lo allontanò prima che potesse decidere di approfondire il contatto. « No, accidenti, ho detto... » Izaya si appese alle sue spalle, adesso succhiando un punto particolarmente sensibile del suo collo, « ...no!»
Alzò gli occhi al cielo e invocò tutti gli dei della pazienza, supponendo che in seimila anni di civiltà ne avessero inventato almeno uno. Izaya stava ora cercando di abbassargli i pantaloni.
Shizuo reagì lanciandolo lontano con una poderosa spinta. « E che cazzo, Izaya! Non sei venuto all'appuntamento e ora... » L'altro tornò incurante ad avvinghiarsi addosso a lui. Shizuo lo respinse di nuovo, « ...ti presenti qui come se... » Di nuovo, « ...niente fosse e pretendi che... » E di nuovo, « ...ti scopi! »
Izaya, non potendo disporre delle mani che Shizuo aveva immobilizzato afferrandogli i polsi, infilò un ginocchio tra le sue gambe e cominciò a salire, e salire, e salire, fino a strofinarlo contro il cavallo dei suoi sottilissimi pantaloni azzurri.
« Mmmh, ripetilo » mugulò Izaya, tendendosi in avanti per respirargli il fiato caldo sul collo.
Shizuo fremette ed emise un sibilo di frustrazione. Ma non avrebbe ceduto!
« Cosa? » ringhiò, a dentri stretti.
« Che mi scopi. » Le parole vennero soffiate sul lobo sensibile del suo orecchio, piene di tutta la loro lascivia. Sentì un tremore percorrere la sua colonna vertebrale, le gambe farsi pericolosamente molli e qualcos'altro, invece, pericolosamente duro. « Forte. » Una mano, che non si era accorto di aver liberato, gli accarezzò l'inguine. Le labbra umide e tentatrici di Izaya si avvicinarono al suo orecchio ancora di più. « Sbattimelo dentro » sussurrarono e il modo in cui avevano potuto pronunciare tanto dolcemente parole di una tale indecenza gli diede alla testa. « Voglio che mi fai male. »
Shizuo dovette attingere a tutto l'autocontrollo che non aveva mai usato per spintolarlo via. « Non sono una specie di cazzo che cammina! » urlò, lottando contro i tentativi di Izaya di saltargli nuovamente addosso.
« Certo che no. Non stai camminando » esclamò l'altro, in maniera adesso così seria e con un tono così paradossalmente innocente da fargli dubitare che volesse prenderlo in giro. Le sue labbra, che non gli erano mai sembrate più succose e appetibili di allora, si allungarono in un sorriso maledettamente seducente. « E non devi andare da nessuna parte. Resta con me... per me... in me. Vieni dentro di me. »
Shizuo si sentiva scottare ovunque. Davanti a lui, Izaya era come non l'aveva mai visto, ma come aveva sempre desiderato che fosse. I suoi occhi divampavano di voglia, chiedevano e supplicavano senza decenza né contegno, dimentichi del loro cipiglio solitamente altezzoso, e tutto il suo corpo sembrava protendersi verso di lui implorandolo affinché lo toccasse, e accarezzasse, e baciasse, e leccasse, e prendesse. Lui voleva fare tutte quelle cose e mille altre ancora. Era così invitante, Izaya, con quel lieve rossore a colorargli le guance e le labbra dischiuse che sembravano fatte apposta per essere morse.
Ai nemici avrebbero dovuto vietare di essere così belli. Dannazione! Non voleva cedere e aggiudicarsi ancora la parte del giocattolino.
« Ma cosa credi? » sbottò, scrollandogli i polsi ancora trattenuti nelle sue mani. « Che io sia alle tue dipendenze? Che me ne stia tutto il tempo a sbavare come un cane in attesa che tu mi apra le gambe? »
Izaya aggrottò le sopracciglia, in un'espressione di smarrimento. « Com'è che ora parli complicato? Possiamo saltare direttamente alla parte in cui apro le gambe? »
Non era male come proposta. Maledisse se stesso per averlo pensato.
Il corpo di Izaya si spinse verso il suo, sfiorandolo. Shizuo avrebbe voluto allontanarlo ancora, ma la sensazione del suo calore cocente che passava attraverso lo schermo sottile del pigiama e l'erezione di lui che sfregava sotto la sua e il modo in cui poteva immaginare ogni centimetro di pelle nuda dentro i vestiti superflui che Izaya indossava era così piacevole.
Si lasciò sfuggire un mugolio. Non si accorse nemmeno di stare lentamente sciogliendo la presa sui polsi dell'altro, nel languore dell'eccitazione repressa. Chiuse gli occhi. Li riaprì. Li chiuse di nuovo, ancora facendo appello agli dei che presidiavano alla santa pazienza.
Izaya gli avvolse le braccia attorno alla vita. Le sue labbra si posarono sul suo sterno e cominciarono a baciare quella parte di pelle lasciata scoperta dalla maglia del pigiama. Il suono umido prodotto dalla sua lingua azzerò le ultime, scarse, resistenze che gli restavano.
« Al diavolo! »
Con uno scatto animale si fiondò sulle labbra di Izaya, divorando il risolino sorpreso che ne era uscito. Le loro bocche cominciarono ad assaggiarsi con ingordigia, incuranti anche di farsi male. Izaya artigliò le spalle di Shizuo, Shizuo agguantò la maglia di Izaya dietro la schiena e strinse, spingendo il corpo dell'altro contro il proprio in un gesto preda del bisogno. Lo sollevò da terra. Le mani dell'altro vagavano all'impazzata sopra e sotto il suo pigiama. La ragione stava ormai naufragando verso lidi lontani.
Lo schiacciò contro la porta di slancio. Il retro della testa di Izaya rimbalzò in maniera forse dolorosa, ma la foga del bacio non ne risentì.
Il sapore nella sua bocca, però, era strano, diverso. Aveva un retrogusto simile a qualcosa che conosceva vagamente, ma in quel momento era difficile pescarsi dalla testa un'intuizione sensata.
Izaya allacciò le gambe attorno alla sua vita. Shizuo cominciò a spingere d'istinto il suo bacino contro quello dell'altro, assestandogli colpi che si ripercuotevano sulla porta. Gli “sbam” rimbombavano sonoramente, amplificati dall'eco del pianerottolo vuoto all'esterno. Fece scivolare una mano dentro l'intimo di Izaya, massaggiando l'erezione pulsante stritolata nel cavallo dei pantaloni. Izaya rilasciò un sospiro grato e desideroso nella sua bocca... e Shizuo ricordò quando aveva assaggiato quello stesso sapore, sulle proprie labbra come su quelle dell'altro: il giorno in cui avevano alzato il gomito al vecchio locale di Benkei.
Alcol. La realizzazione lo colpì in testa come una pallonata: Izaya sapeva di alcol. Perché non lo aveva capito prima? Era ubriaco!
Sentì la necessità di domandarglielo e quindi si staccò a malincuore dal bacio. « Hai... hai bevuto? »
La mano che reggeva Izaya sotto il sedere allentò pian piano la presa, lasciandolo scivolare di nuovo impiedi.
L'altro lo guardò interrogativamente, con aria brilla, trasognata e perdipiù stordita dall'eccitazione. Emise l'ennesima risatina stupida della serata, poggiando ora la fronte sulla sua spalla.
« N-noo! » disse, strofinando la testa sul suo pigiama in un cenno di diniego. Sollevò poco poco il capo, per guardarlo da sotto i capelli scompigliati che gli solleticavano la linea della mandibola. Un dito della sua mano gli zampettò giocoso sul petto. « Andavo troppo veloce, signor... signor... signor poliziotto? » sussurrò, strascicando le parole come se gli venissero in mente a fatica. Dietro la sua voce impastata, tintinnava argentino un tono divertito. « Se vuoi puoi usare il tuo coso... dai, il coso, come si chiama... il randello... sì, il randello, su di me. »
« Okay, sei decisamente ubriaco » constatò Shizuo, scollandoselo dal petto.
Fece un mezzo giro su se stesso, infilandosi le dita tra i capelli e tirandoli indietro. Aveva Izaya totalmente ubriaco e in preda a una sorta di sfrenato fermento sessuale. Poteva approfittarne. Lo aveva già fatto, in parte, la sera in cui si erano ubriacati insieme. Lui era rimasto più lucido di Izaya, eppure non aveva cercato affatto di placare i suoi bollenti spiriti.
Sentì due braccia avvolgergli strette la vita e un respiro tiepido lambirgli l'incavo della spalla, poi sostituito dalle labbra che aveva baciato fino a pochi istanti prima. Sospirò, frustrato, guardando di traverso la persona ora intenta a succhiargli il collo con tanta solerzia.
Non era uguale. Per niente. Adesso lui era del tutto sobrio, neanche lontanamente alticcio. Non aveva alcuna scusante. Quella volta Izaya lo aveva sfidato a una gara di resistenza all'alcol, ne avevano bevuto la stessa quantità e forse lui persino qualcosa in più; non era mica colpa sua se la pulce andava su di giri pure col succo di frutta. Il seguito era stato una conseguenza che Izaya stesso avrebbe potuto mettere in conto, quando gli aveva proposto di scolarsi con lui tre bottiglie dal contenuto ignoto.
Ora invece aveva l'aria di non sapere nemmeno cosa stesse facendo. E poi gli bruciava pensare che tutto quell'exploit di desiderio non fosse causato da lui, ma dal semplice fatto che l'alcol gli avesse dato alla testa. Maledetto Izaya!
Poggiò un braccio alla parete e vi nascose il capo. Izaya versione piovra continuava a strusciarsi dietro di lui con entusiasmo. Le sue mani si fecero deliberatamente strada verso il basso, immergendosi nelle sue mutande con una nonchalance da padrone di casa. Uggiolò sotto le carezze di quelle dita che avevano iniziato a pompare la sua erezione, tutto dentro i pantaloni di un pigiama che per fortuna non presentava estrose fantasie modello infanzia.
« Dai » mormorò Izaya, al lato del suo orecchio. I suoi gesti si fecero via via più sbrigativi ed urgenti, quasi seccati. Oh, simpatica ironia della situazione: cercava di non approfittarsene e la pulce si incazzava!
Una lieve pressione sul suo braccio lo avvisò che Sua Maestà voleva che si girasse. Shizuo lo assecondò docilmente, i suoi sforzi tutti concentrati nel duello che continuava a dibatterglisi in testa tra il desiderio e quell'inedita razionalità dalla resistenza straordinaria.
Izaya gli calò incerimonioso i pantaloni del pigiama e si inginocchiò tra le sue gambe.
« Oddio... oddio no... » mugolò Shizuo, passandosi una mano sulla fronte sudata. Le mutande vennero spedite a far compagnia ai pantaloni, abbandonati attorno alle sue caviglie in un groviglio informe. L'erezione che aveva a lungo cercato di contenere svettava ora a un palmo dal viso di Izaya, bello in maniera così seducente da sfociare nell'illegalità. Gli ispirava un sacco di cose indecenti quel faccino angelico dall'espressione che di angelico non aveva mai nulla. Come in quel momento.
Izaya posò le labbra sulla punta del suo sesso, umettandole con le gocce perlacee del liquido preseminale. Poi aprì la bocca e accolse senza molti indugi tutta la sua asta.
« Oddio sì... »
Shizuo chiuse gli occhi e reclinò la testa all'indietro, contro la parete.
Lasciarlo fare per qualche minuto non significava approfittarsene, no. Assolutamente. Stava solo temporeggiando prima di respingerlo. Non era un crimine. Avrebbe aspettato solo un altro po', solo... un altro... po'...
Guaì di piacere. La bocca di Izaya, alla faccia dell'ubriachezza, stava facendo cose incredibili e ultraterrene al suo amico dei piani bassi. Evitò con oculata accortezza di chiedersi come e dove avesse imparato a farlo così – oh, signore! – divinamente bene.
Era tanto caldo, e umido, e accogliente lì dentro. Posò una mano sulla sua testa, vagando con le dita tra i capelli setosi in un gesto che voleva essere di riconoscenza. Era tanto carino in quel momento, ma proprio tanto, e gli stava facendo una cosa così carina. La sua mente nuotava in un denso mare di miele nel quale non gli sarebbe dispiaciuto annegare anche subito. Come poteva la stessa bocca, quasi sempre ragione di mal di testa atroci, essere anche scrigno di cotante meraviglie?
Le sue dita cominciarono a stringersi attorno alle ciocche corvine, fino ad impugnarle. Diede alcune spinte secche col bacino, in visibilio, mentre il palmo della sua mano schiacciava la testa di Izaya verso il proprio inguine. Si chiese marginalmente se quello fosse perseguibile come tentativo di strangolamento.
Aprì gli occhi, chiusi non si sa quando, e gettò uno sguardo verso il basso. La visione che vi trovò per poco non lo fece venire. Izaya era così delizioso mentre gli succhiava il cazzo, avvolgendolo con le sue labbra tenere e morbide, ingoiandolo fino alla base e mugulando attorno alla sua carne pulsante come se la stesse gustando. Rivoli di saliva colavano copiosi dagli angoli della sua bocca e gli bagnavano il mento. La sua espressione sembrava rapita e concentrata.
« Oh cielo » sospirò Shizuo, sentendosi mancare.
Voleva prendere di peso quel corpo che ai suoi occhi racchiudeva tutte le tentazioni del mondo e sfondarlo. Ma veramente di brutto e senza risparmiargli un solo granello della sua forza spropositata, a maggior ragione perché sapeva di avere una supremazia schiacciante. Si sarebbe spinto nella sua carne soffice, possedendone ogni centimetro, completamente, e non avrebbe ceduto nemmeno se gli avesse chiesto di smettere supplicando.
Le sue gambe vacillarono un poco e la sua vista cominciò ad annebbiarsi. Sentiva il piacere avvicinarsi rapidamente al culmine, in un crescendo di sensazioni magnifiche.
Gettò di nuovo un'occhiata in basso, ma invece dell'estasi di poco prima lo attanagliò adesso uno strisciante senso di colpa. Izaya sembrava davvero paradossalmente e in maniera molto contorta tenero, forse perché non era in sé – di certo perché non era in sé – e tanto appassionatamente dedito a regalargli un piacere inaudito, mentre lui traeva godimento dal pensiero di fargli del male. Un'onta di infinita vergogna lo colpì in pieno petto. Perché aveva pensato quelle cose? Era davvero in grado di compiere un atto tanto meschino e brutale? Non voleva essere causa di sofferenza per nessuno, nemmeno per il suo, al momento pericolosamente adorabile, nemico, non se non potevano combattere ad armi pari. Che diamine, stava facendo una cosa così bassa e turpe! Scoparsi la bocca di una persona che in quel momento non aveva cognizione di niente.
Appellandosi a tutto lo spirito di sacrificio di cui non sospettava nemmeno di essere capace, lo fermò. « Izaya... Izaya... Izaya, aspetta » mormorò, allontanando gentilmente la sua testa dal proprio membro. Il suono umido di uno schiocco vibrò nell'aria e sulla punta rossa e turgida del suo sesso, che tremò pieno di rincrescimento per la brusca interruzione. Avvertì subito come una sferzata la mancanza di quel calore avvolgente, ora sostituito dall'aria fredda del suo monolocale senza termosifoni. Fu una sensazione sgradevolissima.
Izaya lo guardò dal basso un po' smarrito. Si tese di nuovo verso il suo sesso, sfiorandolo appena con le labbra. Shizuo lo ritrasse più fermamente. « No » biascicò, affrettandosi a reindossare i pantaloni. Di nuovo al riparo del proprio ridicolo indumento, si chinò su Izaya. « Senti, domani ti pentirai di tutto quello che hai detto e fatto stanotte e io non voglio beccarmi qualche scherzetto per ripicca né ascoltarti quando mi maledirai per non averti fermato. »
« Ma se non mi scopi, ti maledico adesso » asserì Izaya, fronteggiandolo con incrollabile ostinazione. Rimase serio un paio d'istanti al massimo, poi dalla sua bocca scappò un'altra risatina estasiata che sembrava vagamente quella di un pazzo – “non si dice di no ai pazzi” pensò Shizuo, trovandola per un attimo un'ottima scusante. In un lampo, Izaya gli fu di nuovo addosso.
Shizuo cadde all'indietro, ma si risollevò puntellandosi sul pavimento con i gomiti. Izaya, spalmato sopra di lui, gli allungò un morso sul mento. « Scopami » ordinò, la voce attraversata da una specie di smania che la rendeva affannata ed impellente. Con i denti gli catturò la pelle sopra la giugulare. « Voglio che mi scopi. » La sua lingua guizzò a leccargli la linea della mandibola, tracciando una lunga scia di saliva umida e calda su cui si depositava il suo respiro ansimante. A Shizuo parve che nella sua testa si alternassero momenti di luce a black-out di pura, deliziosa, perdizione. Izaya soffiò un ansito più pesante degli altri, che sgocciolò tutto il bisogno di cui era intriso sulla pelle sensibile dietro il suo orecchio. « Voglio sentire il tuo cazzo dentro di me. »
Al suono osceno di quelle parole tanto spudorate, la sua erezione ebbe un sussulto che avrebbe potuto bucare una parete. Le sue resistenze si sciolsero come cera arsa da una fiamma, la stessa che sentiva divampare ovunque e che urlava a squarciagola con quanta forza bramasse di possedere quel corpo steso sopra il proprio.
Lo afferrò per la nuca, attirandolo in un bacio più simile a un morso affamato. « Cazzo, se lo dici di nuovo ti faccio male. »
Izaya gemette contro i denti che gli stavano azzannando il labbro inferiore. « Voglio sentire il tuo cazzo dentro di me. Ti prego. »
Sentì le sue budella attorcigliarsi e un fremito potente come una tempesta attraversarlo da capo a piedi, per convergere tutto sul suo inguine. Non aveva mai desiderato niente, niente, più di quanto desiderasse ora di sbatterlo a terra e prenderlo a secco.
Non fece esattamente questo. Lo agguantò invece per l'ormai usuratissima maglietta e lo trascinò verso il letto, finché non fu abbastanza vicino da poterglielo scagliare.
Salì sopra il suo corpo inerme, steso di schiena con le gambe divaricate in un invito che lo faceva impazzire di aspettativa. Tornò subito a baciarlo con furia selvaggia, mentre le sue mani affondavano sotto il tessuto stropicciato dei vestiti e assaporavano ogni centimetro di quella pelle liscia e voluttuosa, impadronendosi del profilo lineare dei suoi fianchi, gustando la morbidezza della sua carne quando la stringeva troppo e troppo forte e godendo infine del modo in cui la punta dei suoi capezzoli gli solleticò i palmi, quando sorvolarono il suo petto a fior di pelle proprio per sentire la carezza squisita di quelle sporgenze. Si soffermò a vezzeggiarle ancora un poco con le dita, notando con piacere come si indurivano sotto i suoi tocchi più ruvidi. Morse quasi con rabbia la curva tenera della sua guancia poco più su della mandibola, poi un afflusso di calore impaziente lo travolse dentro come un'ondata, facendolo fremere di urgenza. Gli impugnò i fianchi e li strattonò con forza verso il proprio inguine, venendogli incontro allo stesso istante. Lo schianto secco tra i loro bacini fu solo un'anticipazione di quello che voleva fargli.
Lo spogliò frettolosamente dalla cinta in giù, ringraziando che Izaya sfoggiasse una mise piuttosto casalinga e che i pantaloni fossero abbastanza larghi da facilitarlo. Liberò anche la propria erezione, mentre si prodigava a massaggiare quella dell'altro. Izaya stranamente non ricambiò, ma dato che non voleva perdere tempo in altri indugi Shizuo decise di non curarsene.
Gli serviva il lubrificante. Aprì il cassetto del comodino in malo modo e vi rovistò dentro. Non trovandolo, cominciò a imprecare sonoramente. Perché diamine lo aveva messo in un posto diverso da quello più ovvio e sensato?
Nessuna voce petulante si levò in risposta al suo muto quesito, puntualizzando l'evidenza o facendo battute sulla sua proverbiale – a dire degli altri – stupidità. Quasi gli dispiacque. Il fatto che Izaya lo irritasse più d'ogni altra cosa al mondo era anche ciò che lo eccitava tanto da fargli perdere la ragione. Invece stette zitto.
Inginocchiato nel cantuccio tra le sue gambe, scorse sopra di lui con lo sguardo. Izaya giaceva tra le lenzuola spiegazzate in una posa abbandonata, come una bella bambola in balia dell'uso che altri avrebbero voluto farne. La maglietta di qualche taglia più grande si posava mollemente sul suo busto, lasciandogli scoperto uno scorcio di pelle chiara sul bassoventre. Le sue braccia erano raccolte ai lati e i pugni dalle dita dischiuse adagiati accanto alle spalle, come in una dichiarazione di resa. Gli sembrò più piccolo e fragile di quanto solitamente non fosse già, se paragonato a lui.
Si allungò sopra il suo corpo, per arrivare a guardarlo negli occhi. Li trovò distanti, come rivolti altrove, a qualcosa che non era là e che certamente non era lui. Le sue spalle collassarono un po', per via di quell'amaro sconforto che cominciava a farsi largo dove prima c'era stata solo eccitazione.
Cercò di non buttarsi giù; letteralmente. Con un dito gli tamburellò sulla fronte. « Ehilà, c'è ancora vita su Marte? » chiese, sentendosi infinitamente cretino ogni secondo di più.
Izaya dovette pensare la stessa cosa, perché il suo sguardo parve animarsi per un istante e fulminarlo con un'occhiataccia carica di insulti che in qualche modo ebbero il potere di rincuorarlo.
Scivolò più vicino tra le sue cosce e chinò il viso verso quello dell'altro, sfiorandogli una guancia con il naso. « Vuoi ancora che... »
Mentre lasciava incompleta la domanda, Shizuo sperò ardentemente che la risposta fosse un sì. Izaya non disse nulla, ma alzò il bacino verso il suo e fece strusciare le loro erezioni, una, due, tre volte. Lo interpretò come un invito ad andare avanti, sebbene l'altro continuasse a non parlare. Ma probabilmente era un effetto postumo della sbornia, si disse.
Gli posò una mano su un fianco, addentrandosi sotto la maglia per sentire il profilo della sua pelle nuda, mentre con le dita dell'altra gli lambiva un internocoscia e lo accarezzava fino al cuore pulsante della sua eccitazione. Vi chiuse il pugno attorno e cominciò a percorrerla su e giù, a ritmo sostenuto. Lo sguardo era fisso sul viso di Izaya, sulla sua espressione che si contraeva per il piacere, eppure, così gli parve, anche per lo sforzo di trattenerlo. Si chiese cosa ci fosse nella sua testa, quali pensieri navigassero tra i fumi dell'alcol, nel mare insidioso e a lui sconosciuto della sua mente.
Sembrava così... violabile, in quel momento. Era strano vederlo tanto arrendevole e docile sotto di sé, gli dava la percezione di quanto potesse diventare indifeso, rispetto a lui, se solo abbassava la guardia. Era nelle sue mani, adesso, disarmato e quindi vulnerabile. Sapeva di potergli fare qualsiasi cosa, prendere qualsiasi cosa, toccare qualsiasi cosa, ora che giaceva incustodito nel suo letto, ma quella consapevolezza che lo stordiva come una vertigine era allo stesso tempo disturbante. Le cose delicate gli suscitavano tutte la stessa paura: scoprirsi incapace di maneggiarle. Persino i suoi gloriosi propositi di sesso selvaggio si erano dissipati nel nulla, vedendo quanto Izaya sembrava innocuo.
Avvicinò il viso al suo addome e premette le labbra sulla collina appena accennata che dall'ombelico declinava dolcemente verso l'inguine. Lo sentì subito irrigidirsi. I muscoli sotto la pelle che stava baciando si tesero e cercarono di sottrarsi al suo tocco. Shizuo sollevò la fronte per rintracciare gli occhi dell'altro, ma li scoprì aguzzi e sottili, pieni di un sentimento che gli parve molto simile all'astio.
Cominciò a sentirsi a disagio. Credeva di essere stato addirittura gentile, sebbene il soggetto non gli facilitasse l'impresa, ma allora perché quello sguardo?
Si sollevò a carponi sopra di lui. « Stai bene? » gli chiese, emettendo subito un sospiro carico di amarezza per quello che era in procinto di dire. « Se non ti va, smettiamo. »
Non aveva mai provato una frustrazione più grande, neanche quando si faceva le seghe in bagno pensando a Izaya, perché almeno in quelle circostanze non lo aveva nudo e a gambe aperte sotto di sé.
Izaya perseverò a guardarlo in silenzio. La sua espressione adesso era corrucciata, come se qualcosa lo contrariasse, e non lo sorprese notare che i suoi occhi puntavano verso di lui.
Cercò di non prenderla a male, non troppo almeno. Il suo codice d'onore gli vietava di arrabbiarsi con qualcuno che al momento appariva tanto inerme, anche se, in effetti, trattandosi di Izaya avrebbe potuto fare un'eccezione. Con lo sguardo accarezzò la figura coperta dalla sua ombra, il profilo sottile del viso evanescente su cui il bagliore rosso della sveglia si posava come un velo, la linea sinuosa delle labbra imbronciate e il modo in cui la maglietta scura si drappeggiava addosso al suo corpo, lasciando intuire il contorno di ciò che celava... e decise di no.
Venne colto da uno strano moto di tenerezza nei suoi confronti. Era imbarazzante, ma sentiva di volerlo rassicurare. Adocchiò una delle sue braccia, coperte fin quasi ai gomiti dalle maniche larghe, e si chinò per strofinare le labbra sulla pelle lattea vicino alla piega.
A sorpresa, Izaya sfilò rapido il braccio da sotto il suo viso. Shizuo alzò subito il capo, perplesso, ma il risentimento lo punse come un aculeo non appena vide che lo stava strofinando energicamente sulla maglietta. Quasi che volesse ripulirsi la pelle da residui schifosi di sporco. Sembrava disgustato.
Quel gesto lo fece sentire più stupido e ferito di quanto fosse disposto ad ammettere. La sua rabbia esplose.
Afferrò la testa dell'altro per i capelli e, dopo averla tirata indietro con veemenza, azzannò la superficie liscia del suo collo esposto. Izaya gettò un urlo lancinante e si arcuò di riflesso, scontrandosi col tetto possente del suo corpo. Shizuo non si lasciò impietosire e, al contrario, gli solcò a fondo la schiena con le unghie, dalle spalle fino ai globi piccoli e sodi dei suoi glutei. Si riempì i palmi di quella carne e la strizzò con decisione, non curandosi minimamente di moderare la forza, poi la trasse d'impeto verso l'alto per fare collidere i loro bacini.
Izaya cominciò a ricambiare, accompagnando i suoi movimenti con foga scoordinata. Shizuo si compiacque nel sentire i suoi gemiti che crescevano velocemente e il respiro sempre più affannato che usciva in rantolii piccoli e bisognosi dalla sua bocca.
Voleva aprirlo, voleva riempirlo, voleva darglielo come il suo corpo lo stava implorando di darglielo. Brutalmente. Gli strinse una coscia per fargli male. Izaya emise un guaito che tradiva sia dolore che piacere insieme. Shizuo si sporse per mordergli il mento, poi si avventò sulle sue labbra gonfie, divorandole fino a sentire il sapore ferrigno del sangue. Infilò la lingua nella sua bocca con irruenza, come se volesse scoparla. Sapeva di alcol, di Izaya e del suo cazzo. Il ricordo di quello che aveva fatto soltanto poche decine di minuti prima e il pensiero di quanto gli fosse sembrato puttana in quel momento, lo esortò ad essere ancora più rude.
Agguantò i suoi polsi e glieli bloccò poco più su della testa, inchiodandoli al materasso con una sola mano. I loro bacini continuavano a scontrarsi. Ad ogni spinta, la sua erezione affondava nel solco tra le natiche di Izaya, sbatteva con la punta umida sulla sua apertura e poi scivolava in avanti, inglobata nella strettoia fra quelle sfere carnose. Quando l'impatto era violento e quasi forzava la sua carne ad aprirsi, Izaya gemeva con impeto ancora maggiore, esalando respiri accaldati vicino al suo orecchio. Shizuo aumentò il vigore dei suoi colpi fin quasi a perderne il controllo, incalzato da quei mugolii che sembravano apprezzarlo.
« Ti odio » ansimò, nella bocca che la sua lingua stava ancora saccheggiando con prepotenza. Vi introdusse due dita senza gentilezza e le mescolò nel bacio per raccogliere una quantità cospicua di saliva. D'un tratto separò le loro labbra, ma solo per guardare Izaya in viso mentre continuava ad usurpare la sua bocca con indice e medio. Gli piaceva vederlo in quello stato, uggiolante e così dichiaratamente in suo potere. Voleva memorizzare ogni particolare di quegli occhi illanguiditi, di quelle guance tinte di rossore e di quelle labbra bagnate che sembravano invitarlo ad entrare ancora dentro di loro.
Estrasse le dita, facendole planare sopra il suo corpo fino alla soglia di quella fessura già umettata dagli umori del suo sesso. Ma non appena le punte sfiorarono l'orlo pieghettato della sua carne, Izaya si allontanò di scatto, allungandosi verso la testata del letto.
« No » bisbigliò, muovendo il capo da parte a parte, febbrilmente. « Così no. »
Shizuo si sentì investire da un astio profondo nei suoi confronti, persino più vivo e sentito delle volte in cui litigavano. La sua erezione implorava di essere soddisfatta e quasi doleva per il desiderio inappagato. Il suo lato animalesco fremeva come un cane ringhiante.
Ci riprovò. Le sue dita poterono a malapena toccarlo, perché Izaya si sottrasse ancora una volta.
Aveva un'aria contrita e indecifrabile. « Non così » mugolò, cominciando ad agitarsi come in preda a un delirio. Cercò di divincolare i polsi ancora intrappolati, mentre il suo corpo si arcuava e dimenava tutto. « Non così. »
« Così come? » inveì lui di rimando.
Izaya si limitò solo a ripetere: « Non così. »
Cavalcando l'onda della propria rabbia, gli impugnò un fianco con la mano che prima bloccava i suoi polsi e lo immobilizzò, mentre le dita dell'altra pressavano sulla sua apertura cercando di violare la resistenza che gli opponeva. Izaya scalciò e chiuse le ginocchia per allontanarlo, al contempo premendo le mani sulle sue spalle.
Shizuo si fermò prima di fare ciò che se avesse voluto sarebbe già successo. Anche contro la volontà di Izaya.
Congelò un paio di istanti, orripilato da quello scenario, dal modo in cui le dita di Izaya, immortalate nell'atto di spingerlo via, gli artigliavano ancora le spalle, dalle proprie che giacevano colpevoli tra le gambe adesso chiuse dell'altro e da quella sensazione di freddo al cuore che lo attanagliava al pensiero di essere stato sul punto di commettere un'azione terribile. Lui non era quel tipo di persona. Lui non faceva del male agli altri. Nessuno doveva soffrire a causa sua, neanche Izaya se non stavano lottando ad armi pari. L'Izaya di sempre sapeva difendersi e contrattaccare, l'Izaya di sempre era in grado di colpirlo e di farlo sentire nel modo peggiore possibile, l'Izaya di sempre lo aveva ferito, anche, più d'un paio di volte, ma l'Izaya di quella notte era fragile. Qualcun altro, Izaya stesso, forse, ne avrebbe approfittato per rivendicarsi, ma lui non voleva essere così.
Non era un mostro.
« Non sono un mostro. » Lo disse. « Pensi che io sia un mostro? » Lo chiese.
Allentò la presa attorno al suo fianco. Il tocco si fece lieve come quello di una carezza immobile. La mano tremante. Rilasciò il fiato, trattenuto da non sapeva quando, e si chinò fino a posare la fronte sul petto dell'altro.
« Scusami. Non volevo spaventarti » mormorò, contro il tessuto madido della maglietta che si alzava ed abbassava al ritmo del respiro di Izaya. Quel movimento appena percettibile cominciò a cullargli il capo. « Sappi che non arriverei mai a... se ti è sembrato che... in effetti dal modo in cui ho agito... ma credimi che non lo avrei mai fatto... mai, davvero, te lo giuro, mai. Nemmeno a te... » I suoi bisbigli si incrinarono un poco, sembrando sul punto di sbriciolarsi. La sua faccia, a contatto con la maglietta, si era fatta umida, ma il calore emanato dal corpo sottostante la intiepidiva. Aveva avvolto le braccia attorno alla sua vita e adesso la stringeva come si stringe un cuscino. Emise un sospiro pesante. « Io odio la violenza. Nessuno mi crede quando lo dico, ma io odio davvero la violenza. Odio che venga fatto del male e odio la sola idea di... perché io so che potrei, ho la forza di un mostro, ma non lo sono, non vorrei, credimi non voglio... » Scosse il capo con la fronte premuta sullo sterno di Izaya. Le sue mani, accartocciate ai lati del corpo che stava abbracciando, strinsero convulsamente due lembi della maglietta. « A volte sento dentro di me questa cosa... è come se vedessi tutto rosso, o tutto buio, come se la mente si spegnesse e il corpo andasse fuori controllo. E ho paura. Io non sono quella persona, non so neanche cosa potrebbe fare quella persona. Dev'esserci qualcosa di sbagliato in me, altrimenti... non capisco perché... insomma, a che mi serve questa forza? Sono nato per essere un mostro? »
Dal basso provenne un rantolo dal suono greve e sofferente. Shizuo si risollevò per guardare Izaya, il suo volto che ciondolava a destra e a sinistra, le guance ancora accese, gli occhi fissi sul niente e l'espressione afflitta, come se qualcosa lo disturbasse profondamente ma non fosse in grado di esprimerlo. Era davvero sconvolto.
E lui si sentiva stremato. Reggendosi sul materasso con una mano, si passò l'altra sul viso, ma per un attimo non la mosse. Le sue palpebre ed i suoi zigomi erano bagnati, come se avesse pianto.
Rimase immobile, lo sguardo rivolto a Izaya attraverso le fessure delle proprie dita. Aveva capito una parola di quello che gli aveva detto? Probabilmente no. Erano entrambi ignari di ciò che passava per la testa dell'altro. Cos'aveva pensato Izaya per tutto quel tempo? Mentre si baciavano, mentre si toccavano, mentre si spogliavano, e mentre infine lui commiserava se stesso e la propria natura mostruosa, verso cosa era stata diretta la sua mente? Erano nello stesso posto, nello stesso letto, ma non erano insieme. Sentì un abisso dividerlo da quella persona che eppure stava ancora sfiorando. Percepì l'immensa distanza che li separava. Anche quando si trovavano uno accanto all'altro, o uno sopra l'altro, e persino uno dentro l'altro, avevano prospettive così differenti da non vedere mai le stesse cose. Tanto vicini da toccarsi, così distanti da non capirsi.
Izaya emise un altro mugolio prolungato, che stavolta gli suonò come di frustrazione. Eppure, gettando un'occhiata alle sue parti intime, Shizuo constatò che non sembrava ancora eccitato.
« Non così » si lamentò Izaya, di nuovo.
« Che vuol dire “non così”? Così come? »
Dopo alcuni istanti di silenzio, nei quali l'altro parve concentrarsi per raccogliere le idee, Shizuo lo vide sollevare fiaccamente una gamba e farla passare sotto di lui. Entrambe le ginocchia di Izaya si ritrovarono quindi ai lati del suo bacino.
Aggrottò la fronte, rivolgendogli uno sguardo di domanda per esortarlo a spiegarsi meglio. Fortunatamente non ci fu nessun sospiro spazientito né alzata di occhi al cielo, come accadeva di solito quando tardava ad afferrare un concetto. Gliene fu grato.
Con la stessa flemmatica lentezza di prima, che tradiva quanto fosse stanco, Izaya gli allacciò le gambe attorno ai fianchi e cercò di trarli più vicino a sé. Spinto solo dalla voglia di comprendere, Shizuo assecondò i deboli tentativi dell'altro e fece aderire il proprio bacino al suo. Per un poco sembrò che Izaya stesse cercando l'angolazione giusta, poi il suo corpo si rilassò e smise di dimenarsi come un'anguilla, segno che l'aveva trovata. La mezza erezione di Shizuo frizionava adesso contro quel punto che prima gli era stato negato di toccare con le dita. Il lume della comprensione cominciò a rischiarare la sua mente.
« Così » sospirò Izaya, sollevando appena le anche per strusciare il suo sesso tra le proprie natiche. Quello sguardo dai riflessi vermigli continuava a sembrare velato da uno schermo, come se non fosse realmente lui ciò che stava vedendo.
Shizuo strabuzzò gli occhi. Cercò di ammansire il desiderio che si stava risvegliando e si concentrò invece sul problema. « Cioè... tu volevi che ti scopassi senza preparazione? » chiese, incredulo.
Izaya non disse nulla, ma l'insistenza con cui perseverò a far collidere quelle due zone dei loro corpi fu una risposta abbastanza eloquente.
E lui che aveva persino temuto di essere stato troppo brusco. Alla pulce si era completamente sciroccato il cervello o cosa? « Tu stai fuori! » esclamò, sciogliendo la presa delle sue gambe dai propri fianchi e poi gettandole di lato in malo modo. Mentre si reinfilava i pantaloni del pigiama e gli voltava le spalle per mettersi a sedere sul bordo, continuò a inveire contro di lui. « Spero che ti sei calato qualcosa di veramente forte, perché se hai bevuto solo mezzo bicchiere di acqua frizzante dopo ti pesto a sangue! »
Piantò i gomiti sulle ginocchia e affondò le dita tra i propri capelli disordinati. Era sfinito. Dal letto provenne un altro verso uggiolante, stavolta simile a quello di un bambino lagnoso. Shizuo si sentì fremere i nervi, ma li tenne a bada.
Il materasso che si avvallava e un suono di lenzuola stropicciate lo spinsero a voltare il capo per guardare l'altro da sopra la spalla. Il suo stomaco fece un triplo salto carpiato non appena l'attenzione dei suoi occhi venne calamitata dal sedere meravigliosamente nudo di Izaya, ora intento a gattonare verso il bordo opposto. Non sarebbe riuscito a distogliere lo sguardo da quelle rotondità perfette neanche se lo avesse voluto, perciò continuò a fissarle, ipnotizzato. Quando Izaya si sporse per cercare dio sa cosa ai piedi del letto e così facendo gli regalò una visuale completa di quel didietro tanto invitante, la sua bocca registrò un picco di salivazione. Deglutì. Lo spazio tra le sue gambe divenne improvvisamente troppo stretto, costringendolo ad allargarle. Aveva caldo. Si passò una mano sulla fronte e poi la posò sugli occhi, per obbligarli a non guardare oltre. Trasse un profondo respiro. E un altro. Poi girò di nuovo il capo verso la parete.
« I miei boxer » mormorò Izaya alle sue spalle, con voce attraversata da una leggera nota di panico. Ma dal momento che se n'era accorto anche lui, forse non era tanto leggera. « I miei boxer » ripeté, come se nel silenzio della stanza fosse possibile che non lo avesse sentito.
Shizuo nascose il capo tra le mani, strofinandolo con forza quasi che volesse strapparsi la pelle. Non poté fare a meno di maledire gli dei – tutti, per essere sicuro di indovinare quello giusto – per quanto si sentiva avvilito. Tra le sue gambe svettava l'ennesima erezione della nottata, praticamente un monumento alla frustrazione, le sue membra erano ridotte a straccetti dalla stanchezza, gli faceva male la testa a causa della mancanza di sonno e Izaya continuava a dire “i miei boxer” come se dal fatto che li ritrovasse dipendessero le sorti del pianeta.
Mugugnò, irritato. Quando sentì uno scalpiccìo di passi nudi sul pavimento, raccolse il coraggio a due mani e si voltò di nuovo. Izaya adesso era impiedi e il suo sguardo si spostava confuso tutto intorno, come aspettandosi che le sue regali mutande si manifestassero a lui galleggiando a mezz'aria. L'espressione spaesata sulla sua faccia era tuttosommato tenera. Per un momento pensò che Izaya dovesse ubriacarsi più spesso, poi gli eventi di quelle ultime ore scorsero veloci nella sua mente, facendogli ritirare subito il pensiero.
No, Izaya ubriaco era persino peggio che sobrio.
Fece vagare lo sguardo sulla sua figura sottile, dalle spalle fino alle gambe lattee che sbucavano dal bordo della maglietta, abbastanza lunga da coprirgli almeno il sedere. Per la seconda volta nell'arco di quella notte ringraziò che Izaya fosse uscito di casa con abiti che sembravano smessi.
Lo vide muovere alcuni passi incerti verso l'angolo cucina. Sospirò. Dubitava che i suoi boxer fossero volati tanto lontano. Mosso a compassione perché sotto sotto era una persona gentile, si alzò e scandagliò il pavimento attorno al letto in cerca del capo incriminato. Lo trovò proprio ai piedi del versante da cui era sceso Izaya e fu tentato di prenderlo in giro, ma si trattenne. Era ubriaco, dopo tutto.
« Ehi, aspetta » disse, raccogliendo i suoi boxer da terra. Li posò sul materasso e accorse dietro Izaya, che continuava a brancolare verso i mobili della cucina oscillando come se dovesse cadere da un momento all'altro. « Izaya? » lo richiamò, afferrandogli un braccio per farlo voltare.
Izaya ebbe un sussulto violento e si girò di scatto, ad occhi sgranati. « Non mi toccare! »
Rilasciò subito la presa, perplesso. Izaya barcollò qualche passo indietro, ma così facendo urtò il manico di una pentola lasciata a sgocciolare in bilico sul lavello. Il recipiente d'alluminio cadde sul pavimento, trascinandosi dietro anche il coperchio. Entrambi produssero un frastuono assordante, che si esaurì solo quando l'ultimo dei due smise di roteare.
Shizuo contenne a stento un flusso di imprecazioni. Nella sua testa il dolore ululava come la sirena di un allarme.
« Forse è meglio che ti accompagno a casa » disse, massaggiandosi una tempia. Il “forse” era assolutamente retorico. Avanzò di un passo verso Izaya, ma subito lo vide allertarsi.
« Non ti avvicinare. » La sua voce era tesa e tremante. Gli occhi sembravano ancora una volta guardare qualcosa che non c'era.
Vide che si stava agitando. Le sue spalle erano scosse da brividi e le mani raccolte vicino al petto, come a difendersi. Aveva l'aria di essere spaventato, ma Shizuo non sapeva cosa fosse meglio fare in casi del genere. Cominciò a sentirsi schiacciato dall'ansia di peggiorare la situazione. « Izaya. Izaya, sono io... Shizuo » disse, rendendosi conto subito dopo che forse non sarebbe servito a rincuorarlo. Rettificò: « Non voglio farti male. »
Fece per avvicinarsi, ma Izaya si ritrasse subito contro il lavello. « Vattene! »
Era inutile fargli notare che quella era casa sua. Rinunciò in partenza. « Deponiamo le armi per un momento. Facciamo finta di non essere nemici, okay? Non devi avere paura di me. Fidati. »
Izaya guardò smarrito e terrorizzato verso di lui, ma forse non lui. Cosa si era materializzato davanti ai suoi occhi? Cosa lo spaventava così tanto? Una parte di sé era curiosa di scoprirlo. Stentava a credere che anche una persona in apparenza tanto invincibile come Izaya avesse dei punti deboli. Sempre che non si trattasse solo di un effetto collaterale dell'alcol.
Mosse un passo in direzione di Izaya, che ora parve raccogliersi nel cantuccio tra le proprie spalle come per nascondersi. La sensazione di avere a che fare con qualcosa di molto delicato tornò ad angosciarlo.
Cercò di avvicinarsi ancora un poco. Izaya sobbalzò, ma rimase strenuamente arroccato al lavello. « Non mi toccare » mormorò, il panico che aleggiava visibilmente nel suo sguardo.
Shizuo mise le mani in alto, mentre azzardava un altro passo avanti. « Non ti tocco. »
« Non mi toccare! » strillò Izaya, non appena gli arrivò vicino, seppure non avesse mosso un solo dito verso di lui.
« Ma non ti sto toccando. Voglio solo che vieni di là e... »
Il gesto che fece inavvertitamente col braccio per indicargli la zona letto dovette allarmarlo. Izaya ebbe un altro sussulto, ma stavolta afferrò uno dei piatti sul lavello e lo scagliò per terra, nello spazio tra loro due.
Shizuo saltò indietro, per scansare l'esplosione di cocci. Il rumore fu di nuovo come una sferzata al suo mal di testa.
Ne seguirono ancora altri, in serie, come un bombardamento. Sulle mattonelle si infransero un bicchiere, una tazzina, un altro piatto, una ciotola per il riso, due tazze e un piattino da the. Mentre si circondava di vetri rotti come per erigere una barriera difensiva tra sé e lui, Izaya continuò a ripetere “non mi toccare”, “non ti avvicinare”, “vattene”. A nulla valsero i tentativi di Shizuo di tranquillizzarlo.
Quella precipitazione di stoviglie finì solo quando sul lavello non rimase più nulla. Izaya aveva il fiatone e stava tremando vistosamente da capo a piedi. Il suo viso dal colorito esangue era imperlato di sudore.
« Per favore, calmati » esordì Shizuo, avvicinandosi di nuovo a passi piccoli e misurati. « Non so di cosa tu abbia paura, ma ti prometto che non ti farò nulla. Davvero. »
Quando si trovò al limite con la barricata di cocci, fece appello a tutta la gentilezza di cui era capace, a dispetto della propria naturale goffaggine, e gli tese una mano. « Dai, ti aiuto a scavalcare. » Izaya ovviamente non la strinse, ma la pazienza di Shizuo rimase salda. « Va bene, allora sposto il tavolo e passi da qui... qui, dove non ci sono vetri. Okay? » disse, indicando una breccia nella striscia di vetri rotti.
Attese un paio di istanti, per assicurarsi che Izaya avesse recepito il messaggio – era strano, dato che in genere capitava il contrario –, poi impugnò il bordo del tavolo e lo spinse delicatamente da parte. Ma forse Izaya era meno lucido di quanto avesse sperato e quindi non aveva capito affatto, perché quel movimento lo fece trasalire e indietreggiare di un passo. Shizuo gli agguantò un polso e lo tirò in avanti prima che il suo tallone potesse posarsi sui resti della ciotola per il riso. Il viso di Izaya, ora a un palmo dal suo, sebbene una spanna più in basso, si dipinse di terrore.
« Lasciami, lasciami, lasciami... » bisbigliò, con voce supplichevole scossa da tremiti di paura. Lo stava implorando. Shizuo rimase immobile un paio di istanti, incredulo e sbigottito, mentre Izaya continuava a ripetere “lasciami” come una litania. Non aveva mai creduto che fosse realmente possibile sentirlo parlare con quel tono, e a lui, perdipiù. Lo scenario però era diverso da quello delle sue fantasie, era tremendamente serio e Izaya sembrava stare soffrendo davvero per qualcosa. Non gli piacque. Voleva sostituire quell'espressione tormentata con il solito ghigno infame che lo contraddistingueva sempre.
« Izaya, voglio solo evitare che ti tagli » disse, pur confidando poche speranze nel fatto che capisse. « Non devi avere paura di me, adesso. Te lo giuro, io... » La sua mano, quella che non gli stava stringendo il polso, si tese istintivamente verso il viso dell'altro per fargli una carezza.
Izaya si allontanò prima che potesse sfiorargli la guancia. Cominciò a dimenarsi con più foga, ancora sussurrando “lasciami” in un crescendo di agitazione.
Avvenne in un lampo. Shizuo cercò di afferrarlo da sotto le braccia per sollevarlo e portarlo lontano dalle stoviglie in frantumi, ma Izaya, dopo aver tentato invano di opporgli resistenza, si lasciò crollare ginocchioni esattamente sul tappeto di schegge taglienti. I cocci stridettero tra loro e sul pavimento. Izaya emise un gemito a fil di voce, ma invece di provare a rimettersi in piedi parve adagiarsi ancora di più.
Dopo un primo momento di stupore, Shizuo gli lasciò andare le braccia, per evitare che divincolandosi potesse strisciare le gambe sui vetri rotti. Si chinò subito davanti a lui. « Ti sei fatto male? »
Izaya non rispose e nemmeno si mosse. Rimase fermo, come imbambolato, lo sguardo fisso sulle punte acuminate che rilucevano di strani colori sotto la fievole luce dell'alba. Sembrava essersi calmato improvvisamente.
Shizuo guardò con preoccupazione le sue gambe piegate sopra i cocci. Aveva paura a fare qualsiasi cosa. E se si fosse mosso? Sicuramente si sarebbe procurato un danno, più di quanto forse non aveva già fatto. In quel momento sentiva di avere la responsabilità su ciò che gli sarebbe accaduto, perciò, al di là di chi fosse la persona che doveva proteggere, non voleva che gli succedesse niente di male. Una volta qualcuno gli aveva detto che tutti sono capaci di distruggere, ma solo le persone buone si prendono cura delle cose rotte. Lui non voleva essere un mostro. Voleva essere buono.
Diede un'occhiata alle spalle di Izaya. Dietro di lui non c'erano cocci, ma per aiutarlo a spostarsi senza schiacciare quelli sopra cui era seduto doveva toccarlo. Adesso sembrava quasi tranquillo. Chissà se lo avrebbe lasciato fare...
« Izaya? » disse, per richiamare la sua attenzione. Non voleva coglierlo di sorpresa. Izaya tuttavia non diede segno di averlo sentito. Dovette pronunciare il suo nome altre due volte prima di riuscire a fargli alzare lo sguardo. Quando lo incrociò con il proprio, lo scoprì smarrito e appannato di confusione come se non sapesse chi fosse la persona nel suo campo visivo.
« Izaya » ripeté, adesso allungando una mano verso la sua spalla. Non arrivò a posare le dita sopra di essa, perché Izaya ebbe un leggero sobbalzo non appena le vide avvicinarsi. Ritirò la mano tra le proprie ginocchia. « Non so cosa fare per toglierti da qui. Ho cercato di farti capire che non devi avere paura di me, ma continui a non fidarti! E poi non capisco perché all'improvviso non vuoi che ti tocchi. Prima stavamo... stavamo... beh, stavamo. Allora perché adesso non posso neanche sfiorarti? »
Naturalmente Izaya stette zitto. Shizuo lasciò andare un sospiro pieno di stanchezza e scosse il capo, massaggiandosi la fronte con un palmo. Nell'unico vano del monolocale scese di nuovo il silenzio e tutto tacque, eccezion fatta per l'orologio. Un'idea però prese rapidamente piede nella testa di Shizuo.
« Okay, facciamo una cosa » disse, dopo un po', alzandosi in piedi lentamente. Aggirò i vetri rotti e si inginocchiò alle sue spalle, ben attento a non fare movimenti bruschi che potessero spaventarlo. Izaya lo seguì con lo sguardo solo finché non fu più in grado di vederlo senza voltarsi, poi si arrese e tornò a guardare presumibilmente davanti a sé. « Immagina che al posto mio ci sia qualcun altro, una persona di cui ti fidi. » Cercò di parlare col tono più incoraggiante e al contempo pacato che conoscesse. A dire il vero si meravigliò quasi di conoscerne uno. « C'è una persona in particolare che ti ispira fiducia? Tua madre? Tuo padre? Ti fidi dei tuoi genitori? »
Non si aspettava davvero che rispondesse. A sorpresa, invece, Izaya parve cogliere il senso di quella domanda ed emise una specie di verso contrariato. Dopo un poco aggiunse: « No. »
« No? » Shizuo aggrottò le sopracciglia. Per lui era impensabile non fidarsi dei propri genitori. Anche quando i rapporti non erano propriamente rosei, com'era possibile non fidarsi delle persone che ti avevano cresciuto? Era così stupito che glielo chiese. « Ma perché? »
Izaya stavolta tacque. Probabilmente non era in grado di argomentare con una risposta più articolata di un monosillabo.
Lasciò perdere. In fin dei conti, Izaya era abbastanza bizzarro da potersi permettere pure quella stranezza. Ricordò anche quanto gli era sembrata fragile e insulsa la signora Orihara e pensò che forse non era tanto improbabile che persino il figlio non si fidasse di lei. Non improbabile, ma sicuramente triste. « Va beh » disse, scrollando le spalle. Se non i genitori, qualcun altro doveva pur esserci. « Allora un amico? Hai fratelli o sorelle più grandi? Un parente? Qualcuno di cui ti fideresti? Ci sarà una persona più vicina a te, no? »
« Shizu-chan? » mormorò Izaya, sottovoce come se non fosse certo di aver detto giusto.
Shizuo si massaggiò la base del naso. « Sì, io sono tecnicamente vicino a te, ma non intendevo questo tipo di vicinanza » spiegò, cercando di mantenere salda la pazienza. Era stremante parlare con qualcuno che sembrava regredito all'età mentale di tre anni. Avrebbe dovuto filmare la scena per farla vedere a Izaya la prossima volta che gli avesse detto la stessa cosa. « Devi pensare a qualcuno di cui ti fidi abbastanza da lasciare che ti aiuti. »
Di nuovo, Izaya pigolò: « Shizu-chan? »
Shizuo sentì i propri nervi crepitare dall'irritazione. « Cazzo, ma me lo stai facendo apposta? I-za-ya! » ringhiò, pronunciando il suo nome col tono che usava sempre quando era arrabbiato.
Le spalle di Izaya parvero rilassarsi invece che tendersi come accadeva di solito dopo quel segnale. « Shizu-chan » ripeté, adesso senza più ombra di incertezza nella voce.
« Ti si è evaporata la fantasia? Lo so anch'io che sono Shizu-ch... Shizuo, ma ti ho chiesto di pensare a qualcun altro! » Sbuffò, passandosi una mano sulla faccia. Prese ancora un paio di grossi respiri e poi sbuffò di nuovo. « Ma che mi arrabbio a fare. Sei totalmente rincoglionito. Allora? Ci hai pensato? » chiese, rivolgendo la domanda alla nuca di Izaya, che nel frattempo aveva posato il capo e una spalla contro il mobile della cucina.
Izaya questa volta tacque, ma fu sempre meglio che sentirgli ripetere l'ennesimo “Shizu-chan”. Glielo chiese di nuovo e di nuovo non ottenne risposta. Lo stesso accadde una terza, una quarta e una quinta volta. Quel silenzio iniziava a stancarlo.
« Izaya? Ma mi stai ascoltando? » disse, azzardandosi a bussare con un dito su una sua spalla, quella che non era poggiata allo sportello del mobile. Izaya non reagì in alcun modo. Insospettito, si sporse sulle ginocchia per guardarlo in viso e realizzò che la sua supposizione era esatta. La pulce stava dormendo.
Sospirò. Le lancette dell'orologio della cucina segnavano le cinque e qualcosa. Dalle tapparelle trapelava la luce lattiginosa del giorno che stava sorgendo. Era distrutto, e perdipiù il cretino che aveva cercato di aiutare si era preso beffe di lui addormentandosi mentre gli parlava. Che ingrato.
Decise comunque di approfittarne per spostarlo finalmente dallo stuolo di cocci. Con cautela gli avvolse le braccia attorno alla vita – era caldo e la sensazione del suo corpo sotto il tessuto sottile della maglietta fu inconfessabilmente piacevole – e quindi lo trascinò indietro, lontano da ciò che restava delle sue stoviglie.
Si lasciò crollare per terra, esausto, naturalmente non perché l'altro fosse pesante ma per via della nottata insonne. Ebbe quasi un capogiro dalla stanchezza, ma si riprese subito. Gettò uno sguardo poco più in basso della propria testa, a quella appena inclinata da un lato di Izaya. Era surreale stringerlo tra le braccia mentre dormiva. Sentiva il tepore emanato dalla schiena minuta posata sul suo petto più largo e alcune ciocche di quei capelli corvini che gli solleticavano il collo. Era decisamente surreale. Forse perché stava quasi per addormentarsi lui stesso, gli parve che nella cucina fosse calato uno strano torpore e che quello non fosse altro che un sogno. Senza accorgersi di starlo facendo, abbassò piano piano il capo, fino ad immergere il naso tra i capelli arruffati di Izaya. Cominciò a respirare il suo odore, un misto tra quello acre delle sigarette e il retrogusto dolce dello shampoo. La sua vista si era già oscurata, chissà quando, e all'improvviso ebbe l'impressione che fossero di nuovo a letto, che si stessero baciando e che fossero finalmente in procinto di...
Sussultò, scuotendo il capo. Le sue braccia erano ancora allacciate attorno al corpo di Izaya, nudo per metà, e sotto di loro non c'era il letto ma le fredde mattonelle del pavimento. La pulce continuava a dormire, mentre lui era così intorpidito da vederci doppio. Oddio, due Izaya. Scosse di nuovo il capo con violenza, orripilato da quella prospettiva. L'unico astante attualmente davvero sveglio era ritto e sull'attenti tra le sue gambe. Per la terza volta nell'arco delle ultime ore. Non ne poteva più.
Si scostò lentamente da Izaya e lo poggiò di schiena alla parete. Ricordandosi allora di non aver controllato se si fosse fatto male, gettò un'occhiata alle sue gambe nude. C'erano solo alcuni taglietti superficiali, ma per fortuna nulla di serio, e non sembrava che sulle ferite fossero rimasti pezzi di vetro. Volle assicurarsene comunque spazzolando le sue ginocchia con le mani.
Ad operazione conclusa, alzò lo sguardo su tutto il corpo languidamente adagiato contro la parete, ma se ne pentì subito. Perché qualsiasi cosa facesse, eccetto quando parlava, Izaya gli sembrava sempre carino? Specie se oltre a stare zitto era anche poco o per niente vestito.
Sbatacchiò di nuovo il capo a destra e a sinistra, come per scrollare i pensieri che stavano insorgendo. Detestava l'effetto che gli faceva, soprattutto perché detestava la persona che ne era la causa.
Quando smise di scuotersi come un forsennato, si accorse che Izaya stava scivolando per terra. Lo acciuffò al volo per un braccio, appena in tempo per evitare che sbattesse sul pavimento, e lo sistemò di nuovo seduto. Gli occhi di Izaya si riaprirono subito dopo.
« Shizu-chan? » mugolò, assottigliando le palpebre forse per mettere a fuoco. La fronte aggrottata e il broncio gli conferivano un'aria indispettita e l'effetto complessivo era simile alle occhiatacce che gli lanciava di solito. Che lo stesse davvero rimproverando per averlo svegliato? Un tale livello di sfacciataggine gli si addiceva perfettamente.
Borbottando tra sé e sé a proposito di quanto fosse ingrato, si rialzò in piedi e gli porse una mano per aiutarlo a fare lo stesso. « Ti riaccompagno a casa. »
Izaya parve prendersi qualche secondo per realizzare, dopodiché fissò la sua mano quasi con sdegno e girò il capo dall'altra parte.
Shizuo alzò gli occhi al cielo, esasperato. « Ti do tre secondi » gli intimò. Li contò il più lentamente possibile, mentre Izaya avvolgeva le braccia attorno alle gambe per raccoglierle al petto e lo puntava dal basso con sguardo ostinato.
Alla fine dovette sollevarlo in piedi di peso e trascinarlo altrettanto forzatamente fino al letto. Izaya barcollò per tutto il breve tragitto, cantilenando al suo orecchio una sequela di “gira... gira... gira” che gli diede tregua solo quando lo buttò a sedere sul materasso.
« Vestiti » disse, gettandogli intimo e pantaloni sul grembo.
Izaya rispose soltanto « No », dunque lo sfidò altezzosamente con un'alzata di capo e lanciò i boxer sul pavimento.
La pazienza dentro di lui fu sul punto di collassare. « Sì invece » replicò, raccogliendo l'indumento da terra per schiaffarlo di nuovo sulle sue gambe.
Negli occhi di Izaya brillò una luce divertita. L'attimo dopo, i boxer erano di nuovo sulle mattonelle, poco distanti dai piedi del letto.
Shizuo ringhiò, tutto fuorché allietato da quel gioco che invece sembrava entusiasmare tanto il suo ospite. Seppur controvoglia, raccattò di nuovo le sue mutande e gliele riportò, ma stavolta non gli permise di buttarle per terra.
« Mettitele » disse, perentorio, obbligando le mani dell'altro ad afferrare l'indumento nel verso giusto.
Finalmente Izaya parve obbedire alla sua richiesta, ma quando si chinò come per inserire le gambe nei boxer lanciò invece quest'ultimi sotto il letto. Sulla sua faccia da schiaffi si aprì un sorriso sornione da cui cominciò a sgorgare una risatina compiaciuta e beata. Gli avrebbe torto il collo volentieri.
« Ma che cazzo! Guarda che ti riporto a casa così! » berciò, tuttavia chinandosi sul pavimento per tastare con il braccio sotto il letto.
Recuperò ancora una volta l'intimo bistrattato di Izaya, ma invece di lasciare che se lo mettesse da solo cercò adesso di infilarglielo a forza. La sua risata irritante andò scemando man mano che aumentavano i calci e le ginocchiate, ma si zittì del tutto quando Shizuo riuscì a ficcargli le gambe dentro i boxer. Con uno strattone glieli sollevò fino in vita.
Izaya accolse quella sconfitta con un brontolio contrariato. Nella colluttazione era finito disteso per lungo sul materasso, sotto di lui. Le gambe erano bloccate dal suo peso, mentre le braccia se ne stavano ora saldamente allacciate in posizione conserta, come per esprimere tutta la disapprovazione del loro proprietario.
« Shizu-chan mi odia » biascicò, lamentoso, sfoggiando un'espressione di puro risentimento.
Shizuo fece roteare gli occhi. « Un paio di mutande non hanno mai ucciso nessuno » disse, alzandosi per recuperare dal pavimento anche i pantaloni. Quando accennò a volerglieli mettere, il cipiglio sul viso di Izaya si fece ancora più ferito. Sospirò. « Okay. Ho capito. Non vuoi tornare a casa. Che ne dici se ti porto da Shinra? »
Izaya sprofondò in una riflessione assorta per alcuni istanti, ma non si ribellò quando le sue gambe vennero intrappolate nel tessuto lento dei pantaloni.
« Shinra è il mio migliore amico » asserì, dopo un po', inciampando in una risatina stiracchiata. Così com'era iniziato, il suo riso si esaurì, sostituito repentinamente da un'aria pensierosa. « Però so che anche lui mi odia. È mio amico lo stesso, vero? »
Shizuo replicò solo con un laconico « Certo » e proseguì a vestirlo, ora senza più resistenze.


Uscirono di casa alle sei meno un quarto. Shizuo non aveva pensato a cambiarsi con qualcosa di meglio del pigiama, ma in compenso si era messo le scarpe e un giubbotto. Per un attimo aveva indugiato davanti all'attaccapanni, valutando se prendere qualcosa anche per Izaya, dato che l'aria del mattino era sempre piuttosto fredda e i vestiti che indossava sembravano leggeri. Ma quando si era reso conto di cosa stava facendo – preoccuparsi per la pulce, puah! – aveva scosso inorridito il capo e trascinato Izaya fuori dall'appartamento.
La porta sbatté sullo stipite con un rumore tonante che echeggiò nel pianerottolo vuoto. Il vetro dell'anta chiusa del finestrone vibrò, mentre una folata di vento fece cigolare quella aperta.
Izaya si abbracciò per ripararsi dal freddo. Shizuo sbuffò. Dopo una lotta interiore che manifestò facendo tre passi avanti, quattro indietro e due di nuovo in avanti, riaprì la porta e si affacciò dentro per strappare un giaccone pesante a un braccio dell'attaccapanni.
« Tieni » disse, cercando di suonare il più sgarbato possibile mentre glielo buttava addosso. Ciononostante lo aiutò anche ad indossarlo e gli sollevò bavero e cappuccio per proteggerlo meglio dai soffi di vento. Dopo un'analisi attenta, decise di arrotolargli pure le maniche, nel caso in cui, cadendo, avesse avuto bisogno delle dita per aggrapparsi a qualcosa. Infine si accorse di aver dimenticato il dettaglio più importante: abbottonarglielo. Fece anche quello e Izaya fu così pronto per una gita al polo, sebbene si trovassero solo davanti la porta di casa. Si domandò distrattamente se per caso non avesse esagerato un poco, ma scartò subito il pensiero.
Scendere le otto rampe di scale fu un'impresa ardua, dato che Izaya si reggeva in piedi solo grazie al suo sostegno e comunque sembrava sul punto di stramazzare a terra. Di tanto in tanto farneticava, o rideva, o si lamentava, poi tornava a stare zitto e quelli erano i momenti che Shizuo preferiva di gran lunga.
Finalmente furono in strada. Il sole era ancora basso e lo scorcio di cielo ritagliato fra i tetti dei palazzi era plumbeo come l'asfalto. Intorno a loro c'era ancora silenzio. Strattonò Izaya fino alla macchina in fretta e furia, temendo che un vicino mattiniero potesse affacciarsi proprio in quel momento e vederlo uscire col pigiama in compagnia di un ubriaco. Sua madre aveva già minato abbastanza la sua reputazione senza che la pulce facesse il resto.
Appena raggiunsero l'autovettura, gettò malamente Izaya sul sedile del passeggero e salì a bordo, mettendo subito in moto.
Pochi minuti dopo camminavano a sessanta all'ora, il suo piede schiacciato al massimo sull'acceleratore e la marmitta che borbottava scocciata di tanto in tanto, mentre il fischio delle casse sfasciate ronzava nell'abitacolo come sottofondo persistente.
Il traffico cominciò presto a brulicare per le strade, segno che la città era già sveglia. Izaya invece si era addormentato di nuovo e Shizuo, benché avesse ormai stoicamente rinunciato al sonno, sentiva la sua attenzione galleggiare a peso morto sul pelo della coscienza. Imboccò la strada sbagliata un paio di volte, svoltò all'incrocio quando doveva tirare dritto e tirò dritto quando doveva svoltare all'incrocio, prese la quinta a destra invece della sinistra e giunto a una rotonda che non aveva mai visto vi fece il giro attorno tre volte, prima di infilare la strada che gli sembrava quella da cui era venuto e che poi scoprì essere esattamente l'opposta. Ben presto non fu più in grado di raccapezzarsi. Non c'era un solo locale, palazzo, negozio, insegna che gli ricordasse qualcosa. Posti che non conosceva sfilavano senza sosta ai lati dei finestrini e la macchina continuava a procedere per inerzia, quasi che non avesse un conducente al volante. Giunse al punto di non sapere se stesse ancora cercando di trovare la strada o se si fosse arreso a sperare che la casa di Shinra gli venisse incontro. Nell'incertezza, smise di chiederselo e continuò semplicemente ad impugnare lo sterzo, girandolo solo quando un divieto o una strada interrotta ostacolavano il suo moto rettilineo uniforme.
Non sapeva quantificare il tempo che avevano trascorso in macchina, quando finalmente lesse un nome che conosceva su un'insegna di benvenuto. “Arakawa”. C'era stato da piccolo, una volta, con i suoi genitori e Kasuka. Si erano recati lì per fare un pic-nic in riva al fiume. Fuori dal finestrino, oltre la ringhiera che orlava il marciapiede a fianco della carreggiata, si estendeva infatti l'ampio corso d'acqua.
Posteggiò sotto un grande albero dai rami spogli. La strada sembrava deserta, ad eccezione di alcune macchine che talvolta gli passavano accanto. Si tolse il giubbotto. Nell'abitacolo adesso faceva un caldo infernale, colpa dei raggi del sole che battevano obliqui sull'autovettura. Le nuvole erano rimaste tutte a Ikebukuro.
Fece scivolare le mani dal volante sulle proprie gambe e poggiò il capo alla testata del sedile. Lo specchietto retrovisore gli rimandò uno sguardo livido e cerchiato di rosso sul quale lentamente calarono le palpebre gonfie. Dovevano aver camminato per ore, ma non sapeva quante, dato che il display sul cruscotto non dava più segni di vita da un pezzo e che aveva dimenticato a casa sia il cellulare che l'orologio. Ricordava però di essere passato davanti a una scuola, a un certo punto: il cortile oltre l'inferriata del cancello pullulava di bambini e questo gli aveva suggerito che si fossero fatte almeno le otto. Da allora gli sembrava di aver guidato per altri mille secoli.
Girò la testa verso il lato del passeggero. Izaya continuava a dormire, con il capo posato sul vetro del finestrino e la bocca dischiusa. Il respiro sereno talvolta si trasformava in un lamento sommesso e allora tra le sue sopracciglia spuntava una piega sofferente che poco dopo tornava a distendersi. Lambì con lo sguardo la curva ripida dello zigomo, giù lungo il profilo liscio della sua guancia inondata di luce chiara. Le ciocche dei capelli che gli ricadevano sul viso facevano netto contrasto con il candore della pelle, spezzato solo dall'alone rosato delle labbra. Gettò un'occhiata afflitta al suo giaccone, quello dentro il quale Izaya se ne stava comodamente infagottato. Si rammaricò di avergli dato proprio il suo preferito. Sapeva che da quel momento non lo avrebbe più messo, ma solo per evitare di lavarlo.
Era patetico. Molto. Si cerchiò la fronte con una mano ed emise un lungo sospiro. Il suo peggior nemico dormiva nella sua macchina e lui non ne stava approfittando per riempirgli le tasche di pietre e gettarlo nel fiume. No, al contrario, era lì perché si era offerto di accompagnarlo. Izaya lo aveva svegliato nel cuore della notte piombandogli in casa, ma invece di chiudergli la porta in faccia lo aveva invitato ad entrare. “Prego, fa pure”, pensò, facendosi il verso nella mente. Gli era saltato al collo, ma lui non lo aveva mica scaraventato subito a letto, no, per carità, era ubriaco!, sarebbe stato un comportamento ignobile. Perciò si era sforzato di resistere e quando alla fine il suo autocontrollo aveva ceduto alle insistenze di Izaya e Izaya, viceversa, aveva cambiato idea, mandandolo in bianco, nemmeno allora aveva deciso di dargli ciò che gli spettava. Gli aveva rotto le scatole e pure le stoviglie buone – le uniche che avesse, tra l'altro. Qualunque comune mortale a questo punto lo avrebbe cacciato fuori dal proprio appartamento a calci, e nudo, perdipiù, direttamente in pasto ai balordi che giravano di notte per Ikebukuro, ma non lui. Lui si era preso la briga di vestirlo, come un'infermierina provetta, aveva tollerato i suoi capricci perché a casa non ci voleva tornare e quindi si era proposto di portarlo dal suo migliore amico Shinra, facendogli anche da servizio tassì.
Tutto questo per una persona che detestava a morte e che avrebbe meritato di essere lanciata giù dalla finestra del suo appartamento all'ottavo piano. Ricordò le parole che aveva rivolto a Izaya qualche giorno prima, dopo la parentesi al parco: “questo non cambia il fatto che ti odio”. Infatti. Non lo cambiava. Non lo cambiava per niente.
Continuò a ribadirselo mentre fulminava con lo sguardo la persona seduta nel sedile a fianco, mentre infilava una mano dentro il proprio intimo e mentre si masturbava con gesti secchi e impazienti in cerca di un sollievo a quel senso di necessità che lo tormentava. Ti odio, ti odio, ti odio, ti odio. Lo disse e lo ridisse, con fregio, sempre tenendo fisso lo sguardo sul viso dormiente di Izaya e immaginando di fottersi il suo corpo invece del proprio pugno. Ti odio.
Ricordò di non aver preso niente di simile a un fazzoletto solo nell'istante in cui venne sul palmo dell'altra mano. Si accasciò contro il sedile, la mente obnubilata dal piacere surrogato e dalle malie del sonno che cominciava a riaffiorare poco a poco. Oltre la cortina di benessere in rapido dissolvimento, una sorta di desiderio non sazio continuava a sobillarlo col suo pungiglione. Guardò il palmo imbrattato di sperma e un vago sentimento di disgusto si allargò come un alone nella sua mente.
Nel sedile posteriore c'era una bottiglia d'acqua. La prese, uscì dalla macchina e se la versò sulle mani, ripulendole alla bell'e meglio. Poi ne bevve due sorsate e con quella che era rimasta si rinfrescò la faccia. Respirò a pieni polmoni un paio di volte, cercando di smaltire l'irrequietezza. Il fiume rifletteva a specchio la luce accecante del sole, l'aria era tiepida come a fine estate, benché fosse metà ottobre, e un venticello leggero gli solleticava le caviglie, infiltrandosi sotto il bordo dei pantaloni del suo pigiama.
Quando si fu calmato, rientrò in macchina. Izaya dormiva ancora, ma era evidente che qualcosa fosse cambiato nel frattempo. Adesso appariva visibilmente agitato. Il suo viso era velato da una patina di sudore, come qualche ora prima, la testa ciondolava da un lato all'altro e le sue labbra farfugliavano parole confuse tra le quali riusciva a decifrare solo dei “no”. Aveva un'aria davvero pietosa.
Si sporse verso di lui in modo da sbottonargli il giaccone, in effetti troppo pesante per il caldo che aleggiava nell'abitacolo. Scostò il suo corpo dallo schienale, avvolgendo delicatamente un braccio attorno alle sue spalle, e così facendo gli sfilò le maniche. Izaya scivolò verso di lui e posò la testa sul suo petto con un “tump”. Al di sotto, un battito appena più forte degli altri gli fece eco.
Abbassò lo sguardo sul viso della persona che dormiva poggiata a lui. Izaya continuava a lamentarsi nel sonno, come se stesse facendo un incubo. Doveva essere parecchio brutto. La sua mano si mosse automaticamente per accarezzargli una tempia, ma congelò con le dita intrecciate ai capelli umidi non appena si accorse di starlo facendo.
“Ti odio”, pensò. “E questo non cambia niente”.
Non c'era nessuno strano attorcigliamento nella sua pancia e non era vero che la sensazione opprimente di un desiderio inappagato si fosse placata d'un tratto.
Non stava cambiando assolutamente nulla.
Forte di ciò, riprese ad accarezzarlo con la punta delle dita, disegnando arabeschi sulla sua tempia e tra le ciocche corvine. Ma durò solo una manciata di secondi. La fronte di Izaya cominciò presto ad aggrottarsi e le sue palpebre tremanti si spalancarono subito dopo.

***



Di nuovo mani sulla sua pelle. Mani dolci, mani irruenti, mani buone, mani cattive, mani reali su mani fantasma. Un tocco gentile gli sfiora una guancia, dita affettuose vi si posano sopra per lusingarla e un palmo, come un grembo, la culla e la consola. L'altra brucia per l'ultimo schiaffo ricevuto.
Dì che lo vuoi”. Parole autoritarie imperano alla sua sinistra. Ma una voce più dolce, dal lato opposto, sussurra: “O se non lo vuoi, insultami.”
Tu non sei abbastanza” sibila, maligna, quella che ha parlato per prima. L'altra lo accarezza amorevolmente. “Io lo voglio. Io ti voglio.
Poi un ordine tuona feroce come un altro schiaffo, “Apri queste cazzo di gambe!”, e il resto svanisce. Non c'è più nessun bacio, nessuna carezza, nessuna premura, solo un dolore enorme che gli scava dentro la pancia e la paura che si scioglie in lacrime sulla sua faccia.
Lasciami. Stringimi. Vattene. Resta.
Tende le braccia verso il corpo che lo sovrasta, ma non ci sono spalle a cui aggrapparsi né un petto solido da cui trarre conforto. L'odore penetrante di un'acqua di colonia gronda sopra di lui, intrisa di umori e nuvole di fiato caldo. È tutto viscido e umido, anche dove lo sporco non è tangibile. La sensazione di schifo affonda dentro di lui come un pugnale. Esce e rientra, esce e rientra, si apre un varco nella sua carne per sigillarsi nel punto più profondo, dove potrà macerare ed esalare il suo tanfo in eterno.
L'eco della voce buona sussurra di nuovo al suo orecchio, balsamo per quella ferita che sanguina non vista.
“Io non lo avrei mai fatto, credimi. Mai. Davvero, te lo giuro, mai... mai... mai.”
“Non sono un mostro.”
“Scusami, non volevo spaventarti.”
“Se non ti va smettiamo.”
“Non aver paura.”
“Stai bene?”
“Qualcuno di cui ti fidi...”

Shizu-chan.
Shizu-chan.
Shizu-chan.
Carezze a lungo desiderate scorrono tra i suoi capelli, via via sempre più palpabili. Vere.

Aprì gli occhi. Le prime cose che vide furono il cruscotto di una macchina, il portaoggetti con alcune penne e volantini pubblicitari accartocciati, l'asta di un freno a mano e il tappetino di plastica ai piedi di un sedile dal tessuto sgranato sui bordi. Accanto al suo orecchio c'era qualcosa di tiepido che si alzava e abbassava ritmicamente, come una barca cullata dal dondolio del mare. Alzò il capo, ma uno stormo di pallini bianchi piovve davanti ai suoi occhi, annebbiandogli la vista per un paio d'istanti. Man mano che quella cortina si diradava, Izaya vide emergere un viso conosciuto nello schermo del suo campo visivo ancora tremolante.
« Shizuo? » gracchiò, non appena i contorni si furono assestati. Facendo leva con le mani sul suo petto, si allontanò di scatto. « Ma che cazz... » Le parole gli si impantanarono in gola, insieme a un groppo di saliva e succhi gastrici che riuscì ad ingollare solo per miracolo tappandosi la bocca appena in tempo. Lo spazio attorno a lui parve rimescolarsi all'impazzata in ogni direzione. Gli sembrò di essere finito in una di quelle palle di vetro che si scuotono per far turbinare la neve finta. Trattenne a stento un altro conato di vomito. « Oh cazzo. »
Aveva un cerchio alla testa come se qualcuno stesse cercando di scoperchiargliela e gli fischiavano le orecchie. Ad ogni battito di ciglia si sentiva sprofondare nelle vertigini.
« Ti senti bene? » La voce di Shizuo lo trapassò da tempia a tempia.
Ebbe la vaga impressione di starsi lamentando, ma ogni consapevolezza era in quel momento sepolta sotto strati e strati di mal di testa.
Boccheggiò. Con la mano si reggeva la fronte sudata, come se questo potesse servire a tenere ferma la sua visuale. Ebbe un altro capogiro da ruota panoramica.
« Ehm, hai bisogno di qualcosa? » Di nuovo un'altra stilettata.
« Che stai zitto » sibilò, acido come i succhi gastrici che gli zampillavano in gola.
Prese lunghi respiri, lentamente, cercando di domare la sensazione di avere una belva imbizzarrita al posto dello stomaco. Ogni tanto gli sembrava di cadere pur essendo seduto.
D'un tratto avvertì qualcosa di caldo vicino al petto. Fu sul punto di sbraitare contro Shizuo che la sua sola presenza sul pianeta Terra bastava ad asfissiarlo senza che gli invadesse anche lo spazio vitale, quando si accorse che stava girando la manovella per abbassare il suo finestrino. Un soffio di aria più fresca gli invase le narici e diede un po' di sollievo al senso di nausea che lo attanagliava.
Rimase in silenzio per una manciata di minuti, guardando fuori dal finestrino in attesa che l'unico albero nel suo campo visivo smettesse di moltiplicarsi. Talvolta uno scricchiolio o un respiro più pesante gli ricordavano che Shizuo era ancora là e una morsa gli strizzava la pancia per riflesso.
Solo quando credette di poter aprire bocca senza rischiare di rigurgitare anche lo stomaco, gli rivolse la parola. « Che ci faccio con te... qui? » biascicò, imprimendo un certo disgusto nelle parole “te” e “qui”. Dal momento che non se la sentiva ancora di voltarsi, non poté vedere l'espressione sul viso di Shizuo.
« Non ricordi niente? » chiese la persona fuori dal suo campo visivo.
Strascicò una mezza risatina sarcastica. « No, sai, mi piace fare domande per hobby. »
Con la coda degli occhi si azzardò a gettare uno sguardo verso Shizuo. Lo vide passarsi le mani sulle palpebre e affondare il capo nella testata dello schienale, come in un moto di profonda stanchezza.
« Allora? » lo incalzò, fissando di nuovo lo sguardo al tronco dell'albero spoglio sul ciglio opposto della strada.
Shizuo parve prendersi qualche secondo e poi gli snocciolò una sinossi stringata da retrocopertina di un dvd di serie Z. « Stanotte sei venuto a casa mia, eri ubriaco. Ti stavo accompagnando da Shinra. »
Si ripeté a mente quelle parole un paio di volte, quasi che volesse scovarvi un significato arcano. “A casa sua”. “Ubriaco”. Aggrottò la fronte, rimestando nella propria memoria impastata. L'ultima cosa che ricordava era di essere tornato a casa dopo aver trascorso l'ennesima giornata a zonzo per fare credere ai suoi che fosse andato a scuola. Non era successo nient'altro, dopo. O no?
Increspò le sopracciglia ancora di più, frugandosi tra i ricordi in cerca di quello più recente.
Ma sì, certo, la cena. Si erano riuniti tutti quanti a tavola per la felicità collettiva, ma Shirou aveva avuto da ridire a proposito di qualche sua frase – “nella Famiglia Addams si respira un'aria più allegra” forse e “matushka, perché sembra che hai un palo ficcato su per il culo? Rilassati, non è così spiacevole” –, ne era conseguito l'ennesimo litigio corredato da schiaffo, ma alla fine aveva ottenuto ciò che desiderava: porre fine a quel supplizio e tornarsene in camera.
E poi? Cercò di focalizzarsi sul “poi”. Poi, poi, poi... Ah, ovvio, era andato a letto. E quindi come c'era finito lì?
Scavò a fondo nella propria testa. Gli sembrò che ci fosse solo un lungo black-out a partire da quel punto, finché non scorse un barlume di luce. Si era svegliato intorno alla mezzanotte in preda a uno dei soliti incubi, ma non era tornato a letto. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva sempre le stesse cose, come una moviola a ripetizione continua, e l'idea di riaddormentarsi lo spaventava. Era andato in cucina. Aveva aperto il frigorifero per prendere l'acqua, ma invece il suo sguardo era caduto sulla birra.
Cominciò a rimettere insieme i pezzi. Aveva bevuto la birra? No. No, la birra era stata un semplice catalizzatore per un'altra idea, cioè quella di curiosare nel mobile degli alcolici forti. Non voleva pensare più a nulla, né agli incubi né al nome che li aveva ritrascinati a galla. “Solo un goccio”, ricordava di essersi detto così. Da quel momento la sua memoria andava a sprazzi, come flash intermittenti. La bottiglia di vodka che oscillava nella sua mano, lui che inciampava sull'uscio di casa e si reggeva allo stipite, la panca del giardino su cui aveva versato accidentalmente un po' di liquore, la strada coperta dal manto azzurro della notte, e un pensiero che galleggiava nella sua mente, l'unico ad essere affiorato quando tutto il resto era stato sommerso: voglio sentire qualcosa.
E poi il nulla. Buio totale. Anche concentrandosi non riusciva a ricordare più niente.
A quanto pareva, però, aveva lasciato il giardino di casa sua per andare a bussare alla porta di Shizuo. Com'era evidente che fosse ubriaco.
« L'abbiamo fatto? » chiese, fingendosi interessato al paesaggio statico fuori dal finestrino, mentre si irrigidiva. Nel formulare la domanda, l'ombra di un tocco caldo gli scorse veloce sulla pelle, tra le cosce e a fior di labbra. Assottigliò lo sguardo, di fatto fulminando il tronco dell'albero che ancora stava fissando.
« No » replicò Shizuo, al suo fianco.
Il sollievo gli fece rilassare le spalle, ma al contempo una punta di fastidio lo pizzicò subdola al centro del petto. Sbuffò. « Il solito fesso. »
« Come? »
Trovò la forza di girarsi. La vista gli si appannò di nuovo per un momento e i contorni delle cose si sdoppiarono prima di riuscire a mettere a fuoco la faccia sparuta, smunta e devastata dalla stanchezza di Shizuo. Aveva gli occhi solcati da cerchi profondi e ora perdipiù sgranati in un'espressione tra l'incredulo e il ferito.
Stirò le labbra in un sorriso, augurandosi che fosse abbastanza maligno. « Scommetto che hai passato gli ultimi giorni a sperare che mi facessi vedere. »
Shizuo arcuò le sopracciglia e poi, a scoppio ritardato, ma in effetti perfettamente puntuale rispetto alla tempistica notoriamente lenta delle sue reazioni, fece una smorfia arrabbiata. « Fino a prova contraria sei tu quello che mi è saltato addosso stanotte, tu che mi hai messo le mani nelle mutande e tu che mi hai chiesto di... di... di... » Terminò la frase gesticolando forsennatamente con le mani, anche se lui le vide muoversi al rallentatore.
Sentì le guance pungere e una strisciante sensazione di vergogna allargarsi a macchia d'olio dentro di sé. « Non fare come se ti avesse dato fastidio » replicò, piccato.
« Ma cosa ti sembra? » sbottò Shizuo, facendo fremere le pareti della sua calotta cranica. « Che sono così disperato da aver bisogno di portarmi a letto qualcuno che non capisce neanche cosa sta facendo? No, grazie. Scopo solo con chi è consapevole di stare con me. »
Proruppe in una risata cattiva e volutamente enfatica che poi interruppe di scatto, soppiantandola con un sorriso sardonico. « Allora mi sa che non imbucherai più nulla, Shizu-chan. »
Vide le guance dell'altro andare in fiamme e le sue mani stringersi attorno allo sterzo, facendosi sbiancare le nocche.
Una sensazione gorgogliante di potere gli salì dalla gola fino al cervello. Poteva colpirlo, poteva ferire il suo orgoglio, poteva calpestare i suoi sentimenti e poteva mirare al suo punto debole più evidente. Poteva ridurlo in ginocchio e voleva che succedesse. Si sentì investire da un'ondata di odio irrazionale, come la sera prima con Mairu.
Shizuo gli gettò un'occhiata di sbieco. « Se l'alternativa è scopare col primo che me lo chiede, come fai tu, allora preferisco così » sputò, marcando il “tu” con disprezzo.
Tutto quello che gli uscì dalla bocca a quel punto fu un rigurgito di parole sfuggite al vaglio della sua mente. « Dovresti ritenerti fortunato, invece. È solo grazie alla mia generosità che non sei più vergine. O forse ti rode il fatto che a te non te lo chiede nessuno? Non ti crucciare, magari frequenti solo i posti sbagliati. Prova in una clinica per infermi, male che vada sei già avviato verso una brillante carriera da segaiolo! Tu e la tua mano dovreste avere un buon feeling, no? Lo spero, dato che difficilmente troverai qualcos'altro da scopare. Io, al contrario tuo, ho l'imbarazzo della scelta. C'è un sacco di gente che pagherebbe per stare con me, ma dubito che senza compenso qualcuno accetterebbe di passare una sola notte insieme a un residuo fossile dell'evoluzione che deve ancora mettersi in pari con l'era Giurassica. »
Cadde il silenzio per alcuni istanti. Le parole che aveva pronunciato cominciarono a dipanarsi allora davanti ai suoi occhi, come il filo srotolato di un gomitolo che gli fosse caduto dalle mani per sbaglio.
« Hai finito? » chiese Shizuo, la voce straordinariamente fredda. Lo vide allungarsi verso di lui, ma invece di mollargli un pugno come si sarebbe aspettato – dimentico che Shizuo non si comportava mai secondo le sue previsioni – tirò la maniglia dello sportello e lo aprì con una spinta.
Rivolse uno sguardo interrogativo e vagamente spaesato alla persona che era tornata a drizzarsi sul proprio sedile, gli occhi fissi al parabrezza e le mani di nuovo sul volante.
Non stava urlando nessun grido belluino? Non voleva ucciderlo? Non tremava di rabbia? Non lo guardava nemmeno infuriato?
Shizuo dovette interpretare il suo silenzio come una tacita risposta affermativa. « Perfetto, allora dimmi qual è il conto e poi esci dalla mia macchina. » Il suo profilo era aspro e duro, scolpito in un'espressione di granito. La voce inflessibile. « Io non abbordo puttane. »
Sbarrò gli occhi. « Cosa? »
« Vai a farti fottere » scandì bene l'altro, spintonandolo fuori dall'abitacolo. « Da chi ti pare. Non mi interessa. »
I suoi piedi poggiarono sull'asfalto e faticarono a non inciampare sotto il peso del resto del corpo. Quando riuscì a recuperare l'equilibro e a voltarsi, lo sportello si chiuse con violenza davanti alla sua faccia sbigottita.
La macchina ripartì subito dopo, soffiando dietro di sé una densa nuvola di gas di scarico.
“Non gliene frega nulla?”. Gli echi di quella domanda si accalcavano nella sua testa, a ripetizione. Sul serio non gliene fregava nulla? L'idea che potesse scopare con altri non gli faceva né caldo né freddo? Lo lasciava così... indifferente?
Si sentì avviluppare lo stomaco in una stretta. Fece appena in tempo a barcollare verso il marciapiede e infine lì, con la mano poggiata a un muro e la testa china, vomitò quell'amara sensazione di vuoto al petto.
 
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